25. Il caso è chiuso (Pt.1)

227 14 5
                                    

Il letto che si muoveva e un corpo che spariva nella penombra fecero svegliare dal suo sonno pesante Taehyung. Erano le 6 del mattino e fuori il buio era ancora persistente, coprendo la città e donando un senso di tranquillità in quella stanza vuota. L'ispettore si alzò, e assonnato, seguì Jimin verso il bagno, dove presto lo vide accasciarsi e liberare tutto quello che aveva bevuto la sera precedente. Si appoggiò allo stirpe della porta, iniziando a sogghignare, e incrociò le braccia. «Che ti avevo detto? Di non bere.» parlò con voce roca, e Jimin si spaventò appena lo sentì. Si girò di scatto, e ancora seduto per terra si asciugò il viso con un asciugamano vicino. «Dio mio, che cretino.» si disse tra se e se, mentre metteva una mano nei suoi capelli scuri e lisci, tirandoseli un po'. Taehyung annuì, mentre lo prendeva in giro e si avvicinava a lui, per poi farlo alzare dal pavimento. «Lavati i denti altrimenti non ti bacio neanche per sogno.» Disse, una volta lasciato andare dalla sua presa, per poi girarsi e camminare verso l'uscita del piccolo bagno. Udì gli sbuffi del suo ragazzo e rise internamente, uscendo dalla stanza per rimettersi nel letto, quel letto che tanto profumava di Jimin. Camminava lentamente, grattandosi la pancia e, con un tonfo, cadde a peso morto sul letto disfatto. «Lavati! me lo dai ora un bacino?» si sentì chiedere, per poi rivederlo avvicinarsi, e sedersi sul materasso di fronte a lui. Lo baciò, attirandolo a se, con tutto l'amore del mondo. Perché, diamine, Taehyung era perso per Jimin e lo amava così tanto. Sentiva l'amore percorrergli ogni parte del corpo ogni volta che gli lasciava uno sguardo, una carezza, un bacio. Lo amava e quel bacio lo diceva chiaramente. Partendo da un lieve tocco di labbra, questo diventò una battaglia tra le due lingue, un'esplorazione delle loro bocche e lo scambiarsi di emozioni che non riuscivano neanche più a distinguere. Jimin presto si ritrovò sopra il corpo dell'ispettore, mentre prolungava quell'unione unendo alla tenerezza anche un po' di passione, che fece venire i brividi ad entrambi. Si staccarono, un po' affannati, ma completi. «Contento?» chiese, ridendo, il moro. Il più grande si spostò da lui e lo affiancò sdraiandosi, con le guance accaldate ed ancora il fiato corto. «Molto.» ripose, poggiando poi un braccio sul busto dell'altro. «Che ora è?» chiese Jimin. «Presto, continua a dormire se hai sonno.» gli rispose Taehyung, con lo sguardo fisso sul soffitto bianco. «Tu hai sonno?» chiese di rimando. Non aveva affatto sonno, ma solo un'immensa ansia farsi spazio nel suo corpo. Cosa avrebbe fatto se quei capelli non avessero dato le sufficienti informazioni? Se fosse stato inutile analizzarli? Aveva dannatamente paura di non riuscirci.
Scosse la testa in segno negativo e il corvino ghignò, per poi ripotare di nuovo il suo corpo sull'altro. «Allora possiamo continuare quello che abbiamo interrotto.»




«Jimin, io vado!» urlò Taehyung dalla porta d'ingresso, avvisando del fatto che stesse andando a lavoro. Sentì il saluto essere ricambiato dalla sua voce acuta e ovattata, e poi uscì di casa. Quel giorno preferì andare a piedi, per questo si avviò prima. La caserma non era neanche molto lontana, e poi Taehyung aveva bisogno di prepararsi a quella giornata fumando una delle sue sigarette. Mentre camminava sul marciapiede della grande Capitale, udì il suono di un clacson e una mano uscire dal finestrino di una Kia nera. «Taehyung!» urlò il guidatore, che si scoprì essere Jungkook. «Vieni, andiamo insieme!» disse ancora, e l'ispettore posò la sigaretta nel posacenere portatile, e camminò fino ad arrivare all'altro sportello. «Mi hanno chiamato.» disse Jungkook appena mise in moto la macchina. «Che dicono?» chiese Taehyung, iniziando a muovere freneticamente la gamba destra. «Ti hanno insultato perché risulti sempre irraggiungibile.» iniziò e Taehyung arrossì. «E poi hanno detto che i risultati sono pronti.» e nel frattempo erano già arrivati di fronte l'edificio. «Hanno accennato qualcosa?» domandò ancora, con l'ansia e la frenesia che aumentavano ogni volta che saliva le scale di quella caserma grigia e piena di poliziotti. «Si: è un uomo, ma non hanno aggiunto altro.» il rossiccio terminò il suo discorso e una volta che i due entrarono, si diressero immediatamente nella sala, dove vari uomini e donne vestiti con una tuta bianca e maschera in viso li aspettavano con in mano un fascicolo, sul quale c'erano scritte tutte le informazioni del presunto assassino. «Jungkook vai a prendere i dati e portali nel mio ufficio, intanto vado a preparare alcune cose.» gli ordinò e poi si divisero. Taehyung arrivò nel suo ufficio e subito mise nella tasca interna della sua giacca delle manette, oltre alla pistola che era sempre presente. Si sedette sulla sua grande scrivania e iniziò ad aspettare. Era una bellissima giornata di gennaio e mai il moro avrebbe pensato che sarebbe stata la peggiore della sua vita. Eppure, doveva andare così, perché appena Jungkook varcò la porta, due occhi spenti e il viso pallido incontrarono quello, ora preoccupato, di Taehyung. Il rossiccio era incerto sul da farsi: dare o non dare quel fascicolo? Quei dati? Quel nome?
«Ti senti bene?» chiese Taehyung, alzandosi in piedi per fronteggiarlo. Non rispose, ovvio che non lo fece. «Dammi quei fogli, su.» lo incitò, aspettando che il suo amico eseguisse. «Vado io ad arrestarlo, se vuoi.» puntualizzò Jungkook, e Taehyung iniziò davvero a preoccuparsi, inarcando il sopracciglio. «Ma che dici? Jungkook stai bene?» richiese, strappando poi dalle mani quell'ammasso bianco. «M-mantieni la calma Tae-» Un tonfo. E un corpo immobile. Questo era quello che quel mattino vide Jungkook oltre che la cartella sul pavimento, ora aperta, che faceva intravedere il nome del colpevole. Neanche una parola fuoriuscì dalle labbra di Taehyung, bensì, quelle erano aperte e tremanti. Jungkook era terrorizzato, aveva paura di una qualsiasi reazione da parte del suo migliore amico, per questo rimaneva fermo e muto, timoroso di fare un passo falso.
«Chiama due agenti e di' loro di venire con noi con una macchina, io e te prenderemo la tua.» e lo udì di nuovo, Jungkook, quel tono che da tanto tempo non usava. «Sbrigati!» alzò la voce l'ispettore, quando vide ancora il rossiccio fermo che lo fissava, con i suoi occhi ancora più grandi. Si spaventò e subito si precipitò fuori, svolgendo ciò che gli era stato detto. Una volta uscito, lasciò da solo Taehyung che, piangente, scalciava quei fogli, liberando un urlo di disperazione. Il mondo gli era crollato sulle spalle nel sapere che l'artefice di tutto era stata proprio quella persona che l'aveva risollevato da terra e gli aveva insegnato di nuovo a camminare: Park Jimin.

Coffee & Poison. [ Vmin ] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora