13. L'ispettore un po' irascibile

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Era ormai calato il Sole e i due ragazzi erano finalmente arrivati a destinazione. Jimin era molto eccitato, su Taehyung invece era presente, come sempre dopotutto, la stessa aria di malinconia. Erano arrivati in Hotel, e Jimin, nonostante fosse dicembre, aveva addirittura prenotato uno di quelli con vista sul mare. Non erano molto vicini alla distesa d'acqua, ma il maggiore avrebbe voluto farci un salto. «Ehi.» chiamò l'altro ragazzo, che invece era perso nei suoi pensieri. Quest'ultimo alzò lo sguardo e lo poso sul corvino, che gli sorrise. Il sorriso non fu uno di quelli maliziosi. «Tutto okay?» chiese poi, una volta che arrivò a fronteggiarlo. Taehyung alzò le spalle e si sedette sul letto. La stanza era molto semplice: il colore marrone privilegiava e un'enorme finestra era presente al lato della stanza; il letto matrimoniale era coperto da un pesante piumone beige e di fianco ad esso c'erano due comodini, con tanto di lampade. «Non ho nulla di mio.» fece notare. In effetti erano partiti senza neanche sapere che si sarebbero ritrovati poi a 158km lontani da Seoul. «Non avrai bisogno di vestiti se sei con me.» scherzò Jimin, facendo anche l'occhiolino. «Non fare lo stupido.» lo riprese poi il moro. Jimin si sedette al suo fianco e lo guardò. Taehyung aveva lo sguardo basso sulle sue gambe, evidentemente imbarazzato, e Jimin cercò di metterlo a suo agio. «Stai tranquillo, ti presterò qualcosa io. Doveva essere una sorpresa quindi ho portato qualcosa in più per te.» gli rispose seriamente, e Taehyung annuì. «Ma non c'era bisogno tu mi portassi qui.» parlò serio quest'ultimo, respirando pesantemente. «Ma volevo farti distrarre.» si giustificò il più grande. «Ma cosa vuoi saperne tu di quanto è successo.» disse di rimando quasi con rabbia. Jimin lo guardò un po' stranito, per poi riprendere a parlare. «Ma che ti prende?» chiese perciò, notando il cambio d'umore improvviso da parte del compagno di stanza. Taehyung rise, ma era una di quelle risate che odiava sentire. Jimin avrebbe pagato per vedere l'altro sorridere, ma in quel momento l'avrebbe fatto per farlo zittire. «Che mi prende, mi chiedi?» domandò di rimando. «Sono in un posto sconosciuto con una persona altrettanto sconosciuta!» urlò alla fine, in segno di risposta. Taehyung aveva ragione, aveva maledettamente ragione e questo a Jimin fece male, anche se rimase composto. Taehyung sta passando un momento di debolezza si ripetè in mente, cercando, anche se invano, di tranquillizzarsi. «Stai delirando.» gli fece notare il corvino, usando un tono calmo. Taehyung si avvicinò alla grande finestra, prendendo poi dalla sua tasca una sigaretta, che accese subito dopo. Buttò via il fumo e poi si rigirò verso Jimin. «Sei tu che mi farai diventare matto.» disse, mentre continuava a fumare. Non si era comunque calmato. «È da quando ti conosco — per dire — che ti presenti a lavoro senza neanche avvisarmi, devi interrompermi anche quando passo del tempo con mio figlio e mi porti a Sokcho nemmeno chiedendomi cosa ne avessi pensato. Sei un ostacolo per la mia vita!» parlò con tanta amarezza. Il corvino rimase lì, fermo mentre fissava la figura alta illuminata dal chiaro di Luna. La sua espressione era neutra, ma dentro sentiva quasi un uragano. Perché devi essere così testa dura? pensò. Non dovevi starci dietro, eppure, lo segui come un cane fa col suo padrone parlò quella vocina nella sua mente. Prese un respiro e poi lo butto fuori, avvicinandosi verso la porta. «Andrò a fare un giro. Tornerò quando ti sarai calmato.» sussurrò, varcando la soglia e sparendo nel buio. Taehyung era ancora a fumare, nulla era cambiato tranne che i suoi pensieri.

Sei una gran testa di cazzo.







Jimin tornò che era tarda sera. Si era divertito a stare nel bar piccolo in fondo alla Hall dell'hotel, con quel suo nuovo amico di nome Yoongi. Un tipo calmo ma super divertente, anche molto tenero per via dei suoi occhi vispi e il suo sorriso gommoso. Quasi Jimin volle mordergli la faccia, ma si contenne. Avevano parlato del più e del meno, e Yoongi si scoprì anche essere di Seoul, infatti, i due si promisero di incontrarsi una volta tornati nella Capitale.
Aprì la porta il più lentamente possibile, sperando di non svegliare in alcun modo il suo scorbutico compagno di stanza. Invece era sul letto, con una delle due lampade accese, fissando la porta con sguardo preoccupato. Jimin sussultò quando lo vide alzarsi. «Jimin...» bisbigliò Taehyung mentre si avvicinava al corpo del maggiore. Lo prese per le spalle e lo guardò negli occhi, quegli occhi color cioccolato che lo stavano letteralmente ipnotizzando. «Mi sono preoccupato.» disse ancora in un sussurro. Jimin si allontanò dalla presa, lasciando che le braccia del moro cadessero sui suoi fianchi. «Tsk.» era irritato. Prima era avanti la finestra ad urlargli parole che lo avevano palesemente ferito, e poi si fingeva uno sensibile. «Sono serio, scusami Jimin.» parlò ancora. I due si continuavano a guardare, Taehyung si sentì scavare dentro e le guance stavano già iniziando a prendere colore, ma per fortuna, nella stanza era presente solo la debole luce dell'oggetto sul comodino. «Non volevo parlarti così, ero solo arrabbiato, m-ma non con te.» si giustificò, e sembrò davvero pentito. E i suoi occhi parlarono più di tutti: da lì Jimin percepì davvero i sensi di colpa, perché quegli occhi erano un libro aperto e Jimin ci si era catapultato dentro. «E con chi?» domandò il corvino, mentre avanzò di un passo verso l'altro. «Con mia moglie.» mormorò Taehyung, abbassando lo sguardo. Erano ormai vicinissimi e ognuno poteva sentire il calore che emanavano i loro corpi quasi un contatto. Jimin lo guardò dal basso, per via della sua altezza, e dopo aver poggiato la sua minuscola mano sulla sua guancia, gli parlò: «È tutto okay Taehyung, ora su, mettiamoci a letto e dormiamo che domani ci divertiremo.» E lo vide: se lo stampò per sempre nel cervello il sorriso che gli regalò Taehyung.

Coffee & Poison. [ Vmin ] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora