Eleonora

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La luce che entrava dalla persiana ancora chiusa disegnava sul muro della mia stanza delle strane figure. Ormai era ora di alzarsi e, anche se quella notte non avevo dormito granché per via delle preoccupazioni che mi avevano assalita, di iniziare la mia nuova giornata. Così mi alzai dal letto, aprii la finestra e immediatamente una folata di aria ancora calda, nonostante fosse già ottobre, mi colpì le guance ancora indolenzite. La sera prima c'era stato un forte temporale che aveva accentuato ancora di più la mia angoscia. Quella mattina però i nuvoloni carichi di pioggia si erano scaricati e avevano lasciato spazio a un cielo azzurro come solo il cielo di Roma sa essere. Roma... la mia Roma... ma da quel giorno tutto sarebbe cambiato. Mi guardai allo specchio: sembravo diversa. Non esteticamente, ero sempre la stessa ragazza bionda, un po' esile con gli occhi chiari, ma dentro di me qualcosa era diverso. In quel momento mia madre entrò nella stanza, affannata come sempre. "Guarda che è tardi! Papà sta già portando giù le valigie". Poi mi fissò e scoppiò in lacrime. Era sempre stata molto emotiva e certamente non si sarebbe mai aspettata una decisione così drastica da parte mia, la sua unica bambina. La mia scelta però l'avevo fatta, e l'avevo fatta anche per allontanarmi un po' da quei genitori così apprensivi. Io adoravo i miei genitore però da quando avevo fatto quell'operazione al cuore non mi facevano quasi respirare. Di quell'operazione, oltre all'ansia costante dei miei genitori, mi rimaneva anche una lunga cicatrice che correva sul petto. Ogni volta che la guardavo mi veniva in mente il perché di molte delle mie scelte, a partire dalla decisione di frequentare la facoltà di medicina all'Università statale di Milano. Il giorno dell'operazione avevo 8 anni, ma ricordo ancora l'odore pungente del disinfettante che permeava tutto l'ospedale. La figura che è rimasta impressa nella mia memoria è certamente il medico chirurgo che mi operò quel giorno. Era un uomo alto, con un sorriso rassicurante e una voce calda e salda. È grazie a lui che ho deciso di fare il medico, poiché lui non solo mi aveva aiutato a sentirmi meglio fisicamente ma mi aveva anche tranquillizzata, mi aveva fatto sentire al sicuro. Lo stesso avrei tanto voluto fare io, anche se non in Italia perché il mio sogno era quello di andare nelle zone di guerra, come in Siria o in Yemen con una organizzazione non governativa per cercare di rimediare, anche se solo in piccolissima parte, alle atrocità che l'uomo infligge ai propri simili.

Mi vestii velocemente e mi misi un po' di correttore per cercare di nascondere quelle occhiaie che però magicamente continuavano a comparire sul mio viso. Scesi veloce le scale e trovai i miei genitori ad aspettarmi davanti all'ingresso. Avevano gli occhi lucidi. Era difficile per me vederli in quello stato, sapevo che per loro era molto doloroso ma gli ero grata per avermi dato un'opportunità così importante. Salimmo in macchina e ci dirigemmo verso la stazione di Termini. Mentre l'automobile si muoveva lenta tra le strade sempre trafficate della città, mi scorrevano davanti i luoghi che più amavo: la Basilica di San Giovanni in Laterano, il Circo Massimo, i Fori, il Colosseo e in lontananza si vedeva anche la Cupola di San Pietro. Mi sarebbe mancato sicuramente moltissimo passeggiare all'ombra di monumenti così famosi ma per me familiari e rassicuranti. Chissà se a Milano avrei trovato una città altrettanto affascinante ad accogliermi.

Quando giungemmo a Termini trovammo ad aspettarci Fabio, impeccabile come sempre. Appena lo vidi gli corsi incontro e gli buttai le braccia al collo. Fabio era il mio migliore amico, e forse l'unico vero amico che avevo mai avuto, fin dai tempi dell'asilo. Eravamo cresciuti insieme e la sua presenza era quasi scontata nella mia vita. Se immaginavo il mio futuro lo vedevo ovunque, avrei voluto averlo accanto in ogni momento. Ma ora le cose stavano per cambiare. Era stato difficile decidere di trasferirmi anche perché sapevo perfettamente che se l'avessi fatto i nostri momenti insieme sarebbero stati terribilmente ridotti e temevo che in questo modo avremmo finito per dimenticarci l'uno dell'altra. I miei genitori ci raggiunsero poco dopo con le ultime valige e ci accompagnarono al treno: Fabio mi avrebbe accompagnata a Milano e il giorno dopo sarebbe tornato a Roma. Ci ritrovammo nel grande salone di Termini davanti al cartellone luminoso che indicava i binari di partenza e di arrivo dei treni nonostante fossimo in anticipo di quasi un'ora. Quando raggiungemmo la banchina il mio cuore iniziò a battere veloce, era giunto ormai il momento di partire. Abbracciai forte mamma e papà e prima di scoppiare a piangere salii sul treno. Per tutte le quattro ore di viaggio strinsi forte la mano di Fabio, che cercava in tutti i modi di distrarmi.

Perdere il cuore a MilanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora