Veronica

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Ormai era passata una settimana dal Mattia-gate, tempo che avevo impiegato dandomi completamente al lavoro: meno tempo passavo nella casa, meglio era.

Dino era rimasto di sasso quando gli avevo chiesto se potevo coprire più turni, ma, come al solito, qualcosa di più importante aveva richiesto la sua attenzione e si era limitato a dirmi di andare da Javier per cambiare la mia agenda settimanale. Ottimo.

In tutto ciò era chiaro che Mattia avesse parlato con Simone, sicché quest'ultimo non osava quasi guardarmi negli occhi e appena finito il turno millantava di avere impegni improrogabili per non fermarsi con me e Rebecca nella nostra classica sigaretta post-turno.

Una settimana dopo, la situazione non era poi tanto cambiata, e la mia rabbia continuava a crescere come una funzione tangente: tendeva all'infinito come un maledetto ranger spaziale.

All'ennesimo sguardo fuggente di Simo persi le staffe: infuriata come una tigre del Bengala, poggiai malamente il vassoio che reggevo in mano sulla prima superficie disponibile per poi marciare nella direzione del barista, il quale pareva immobilizzato dietro al bancone.

"Hey" rantolò, la voce tremolante e completamente diversa dal tono squillante cui ero abituata.

"Hey? È tutto ciò che hai da dire? Ma fai sul serio?"

"Buonasera?" rispose, strascicando la lettera e come in quella stupida pubblicità che amava tanto, mentre un leggero sorriso gli aleggiò in viso. Vidi rosso.

"Sei un idiota" e mi girai senza più voltarmi, gli occhi lucidi ma diedi la colpa al mascara colato che mi irritava la cornea. Sì, come no, continua a crederci Veronica.

Mi feci strada aprendomi un varco tra la folla festante, per riuscire poi ad arrivare nel piccolo spiazzo all'aperto sul retro. Mi sedetti accanto ai bidoni e provai ad accendermi una sigaretta, per poi accorgermi che non avevo l'accendino: ah già, Eleonora mi aveva chiesto di tenerlo visto che era il ricordo della prima conversazione con Mattia. Manco la consolazione di una sigaretta, ahimè.

Mi sentivo molto sola, mi sembrava di aver perso in un solo colpo tutti i miei amici, e tutto per colpa di un cretino: a partire da Eleonora, la prima conoscenza della città meneghina, che se avesse saputo la verità non mi avrebbe più parlato, passando per Simone, che dal suo comportamento aveva reso molto chiaro che stesse implicitamente dalla parte di Mattia- d'altro canto erano amici dalle elementari, cosa mi aspettavo?-. Infine Rebecca, la quale continuava a spingermi per dire la verità ad Ele, e ormai la paura che loro due avessero una connessione verso la quale io mi sarei sempre dovuta sentire un'estranea non sembrava più tanto assurda e frutto della mia paranoia; mi sentivo come superflua nella nostra amicizia ed era folle come cosa! Non solo ero un terzo incomodo nella relazione Eleonora-Mattia e in quella Simone-Mattia, ma addirittura il terzo incomodo per le mie coinquiline! Si poteva essere più sfigati? C'era almeno una persona a Milano che tenesse a me per me, e non come semplice supporto per reggere l'infrastruttura del rapporto con l'Altro? Avrei voluto gridare. Ormai le lacrime spingevano troppo imperiose perché potessi continuare a fingere fossero dovute al trucco.

Sentii dietro di me la porta aprirsi con uno sbuffo e chiudersi immediatamente- lasciando però un piccolo spiraglio dal quale penetrava la musica proveniente dal locale-, il rumore di suola offesa dal grezzo zerbino, seguita dal suono stridente di pantaloni di pelle: Simone.

Tenni lo sguardo ostinatamente fisso davanti a me, le gambe piegate e raccolte dalle braccia, le mani strette l'una all'altra per non tradire il mio tremore.

"Vero..." cominciò, ma subito parve senza parole.

"Vero" ripeté, potevo sentire il suo sguardo addosso, ma caparbia come un ariete continuai a fare finta di niente, giocherellando convulsamente con l'anello che portavo all'indice. Ma Simone era di un altro avviso, infatti mi girò di forza verso di lui per puntare i suoi occhi nei miei: erano lucidi.

Perdere il cuore a MilanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora