Rebecca

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Erano le quattro di mattina. Ormai quello era diventato il mio orario preferito. Mi sedetti su uno dei panettoni gialli davanti all'ingresso del mio palazzo e poggiai il borsone della palestra per terra. Mi accesi una sigaretta e aspirai piano godendomi il freddo pungente di fine ottobre. Era venerdì, per fortuna, e il giorno successivo non avrei avuto lezione quindi potevo prendermela con comodo.

Erano passate due settimane da quando mi ero trasferita nell'appartamento di Sofia e avevo già perso il mio primo lavoro. Il proprietario del piccolo ristorante per cui lavoravo aveva dovuto fare dei tagli sul personale e io ero rimasta con il culo per terra.

Avevo urgentemente bisogno di un altro lavoro. Ero venuta a sapere già da un po' di tempo che nella palestra in cui mi allenavo a boxe organizzavano dei combattimenti clandestini. Sapevo si guadagnava abbastanza bene. Il mio allenatore era assolutamente contrario e all'inizio lo ero anche io. Non avevo, però, molta scelta. Lavoravo al fight club clandestino e due pomeriggi la settimana davo lezioni di pianoforte ad un ragazzino che abitava poco lontano dall'università e che, probabilmente, avrebbe preferito buttarsi dal quarto piano piuttosto che continuare a suonare.

Me la cavavo insomma.

Aspirai dalla sigaretta e poi buttai fuori una nuvoletta di fumo. Quella sera i miei nuovi coinquilini sarebbero dovuti essere tutti fuori ma comunque l'idea di rientrare nel minuscolo appartamento non mi attirava. Volevo andarmene il prima possibile. Sofia, Elena, Riccardo, Ruben, Stefano e Carlo in sole due settimane erano diventati la mia nuova famiglia ma eravamo in troppi per un bilocale.

C'era sempre confusione e disordine nonostante Elena cercasse di tenere tutto il più pulito possibile.

C'era sempre un via vai di persone. Mi stupì di quanta gente riuscisse a stiparsi nel piccolo soggiorno quando i ragazzi organizzavano i festini del sabato sera.

Non avevamo la connessione internet e, così, spesso dovevo fermarmi a studiare in biblioteca. Ho sempre odiato le biblioteche. Quando potevo tornare a casa a studiare mi toccava spesso rimanere sul pianerottolo, seduta sulle scale e con i libri in bilico sulle ginocchia per non farmi distrarre dagli altri.

Però c'erano anche i lati positivi. Tipo le sere passate sul balcone a fumare con Sofia ed Elena. Oppure quando tornavo stanca e sudata dopo gli allenamenti e i ragazzi mi aspettavano con una bottiglia di vodka e una confezione di gocciole. L'unico vero grande problema era Ruben.

Ruben non era per nulla il mio tipo, in realtà nessun ragazzo era il mio tipo. Io e Fefe scherzavamo sempre su questa cosa dicendo che entrambi non eravamo nati per avere relazioni stabili. Le mie storie non duravano mai più di qualche mese. Comunque i ragazzi che sceglievo non li sceglievo mai come Ruben: quelli come lui mi facevano sentire la preda più che il predatore.

Ruben, infatti, era il classico tipo che ti fa perdere la testa e poi ti molla per la prossima. Portava i capelli castani lunghi sempre legati o tenuti indietro con una fascia. Gli occhi scuri leggermente infossati e piercing al sopracciglio. Teneva un filo di barba a sottolineargli la mascella che gli dava quel aspetto trasandato ma non troppo. Conoscevo già Ruben, in realtà. Era un amico di mio fratello ed ero uscita in compagnia con lui qualche volta. Tra noi c'erano sempre state... scintille. Non riuscivamo a scollarci gli occhi di dosso. Una delle prime sere avevamo fumato assieme sul balcone l'ultima sigaretta della giornata. Gli avevo chiesto se avesse notizie di Federico ed eravamo rimasti quasi tutta la notte a parlare. Un paio di sere più tardi c'era stato un bacio impastato di vodka alla pesca e rhum ma non ne avevamo più parlato. Comunque fosse, sentivo sempre i suoi occhi addosso e ogni volta che lui era nella mia stessa stanza il cuore mi batteva a mille. Cazzo, dovevo andarmene da quell'appartamento il prima possibile. Dovevo concentrarmi su me stessa, non potevo perdere tempo con Ruben.

Perdere il cuore a MilanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora