1. Quella sera a Gangnam.

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Le strade erano gelide e solo illuminate dai lampioni accesi. Neanche una stella era intenta a dare una mano alla Luna, che invece lumeggiava in quella notte fredda quanto quella stanza del palazzo in cui l'ennesimo omicidio era avvenuto. Non si sapeva come, ma quell'assassino che da pochi giorni si era dato da fare nei quartieri più prestigiosi della Bella Seoul, si occupava delle sue vittime con gran classe e soprattutto massima cura, poiché non lasciava neanche che una traccia di sangue si facesse strada nel delitto. Infatti, nessuno sapeva che faccia avesse, ma solo il suo metodo d'uccisione: usava un veleno, messo in una tazza di caffè dopo averlo offerto al malcapitato. Un vero e proprio mistero che Kim Taehyung cercava di risolvere, anche privo di indizi e prove che potessero portarlo alla risposta.

Era proprio lì, l'uomo dalla figura slanciata e sottile, i capelli lunghi e neri che gli solleticavano la fronte, la camicia bianca con la cravatta allentata, e il viso stanco per via di quelle giornate passate a trovare una soluzione a quel caso quasi impossibile. Era un ragazzo di quasi 24 anni che amava il suo lavoro, ma ultimamente questo gli prendeva un sacco di tempo che gli impediva di passare del tempo con la propria famiglia; aveva una moglie e un figlio da crescere, che vedeva solo di sera appena rientrava dopo ore lavorative. «Avete trovato qualcosa?» chiese poi, una volta che vide gli agenti avviarsi verso di lui, con le mani vuote. «Niente, signore. Il criminale ha lasciato il campo totalmente pulito anche questa volta.» rispose il suo aiutante, Jeon Jungkook. L'altro annuì e sospirò pesantemente. «Ci sarà molto da lavorare.» disse a se stesso, mentre poggiava  le dita sulla fronte, massaggiandola. «Amico vai a risposare, si vede a distanza di chilometri che sei stanco e che non dormi da tanto.» consigliò Jungkook posandogli una mano sulla spalla. «Siamo a lavoro, evita questi toni.» lo rimproverò Taehyung, freddo e con ancora gli occhi chiusi dalla stanchezza. «Ho capito, ma prima del lavoro io sono il tuo migliore amico, quindi smettila di essere così rigido con le regole e vai a farti una dormita, oppure va' a divertiti con tua moglie.» disse di rimando l'aiutante, con uno sguardo diverso dal solito che riservava a Taehyung. «Io e mia moglie non ci divertiamo da quando ci siamo sposati.» parlò con il solito tono piatto, forse sta volta timbrato da un po' di tristezza fattasi strada nella voce subito dopo aver pensato ai momenti di crisi che stavano passando in quel periodo i componenti della famiglia Kim. Lui credeva addirittura che lei lo stesse tradendo a causa del profumo che alcune volte sentiva sui suoi abiti, oppure quando la vedeva tornare tardi anche nelle giornate libere. Però non ne aveva mai parlato e, in realtà, non voleva neanche affrontare il discorso. Il piccolo Kim aveva tre anni ed era un bambino solare che, fortunatamente, non era ancora arrivato a scoprire la situazione di tensione da parte dei genitori: il moro lo amava.

«Ascoltatemi.» urlò per attirare l'attenzione degli agenti presenti. «Non ci fermeremo fino a quando quell'assassino non verrà catturato e messo in cella di fronte ai miei occhi. Non dormiremo, non mangeremo e non respireremo a costo di riuscire a prendere colui che sta mettendo in pericolo le vite di tutti. Buonanotte, ragazzi.» finì il suo breve discorso, ricevendo inchini dalle persone circostanti. Lasciò quell'appartamento e si fece investire dalla gelida aria dell'inverno appena iniziato, con lo sguardo pensieroso si fece strada verso la sua casa, inconsapevole che qualcuno alle sue spalle stesse percorrendo la sua stessa via.

Coffee & Poison. [ Vmin ] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora