Una convivenza inquietante

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Nei giorni successivi, Greta e Brahms s'ignorarono l'un l'altra. O meglio: Greta ignorava Brahms, ma aveva dei dubbi che lui intendesse davvero lasciarla in pace come aveva promesso di fare. Tali dubbi le provenivano dal fatto che, sebbene la casa fosse enorme, le sembrava di incontrare Brahms ovunque andasse. Di solito lo trovava seduto negli angoli delle stanze, così immobile che si sarebbe detto fosse morto, se non fosse stato per gli occhi fissi su Greta: come se sapesse che sarebbe entrata, e si sarebbe spaventata nel trovarselo improvvisamente davanti, prima che succedesse.

-Smettila di fare così! – strillò Greta, nell'accendere la luce della cucina e trovare Brahms seduto al tavolo a leggere tranquillamente un libro.

Brahms abbassò il libro. – Così come?

- Mi stai spaventando a morte!

- Greta, non è colpa mia se hai un sistema nervoso estremamente fragile. Io abito qui. Devi mettere in conto che ti può capitare di incontrarmi. Il vino che stai cercando non è nel frigorifero, ma nello scomparto sotto il lavandino. Come sanno tutti, il vino rosso non si tiene in frigorifero -. Riprese il libro. Greta si versò un bicchiere di vino rosso e uscì dalla cucina. Poi rientrò.

-Come facevi a sapere che volevo il vino e pensavo fosse nel frigorifero?

Brahms si limitò a rivolgerle un sogghigno che Greta trovò estremamente allarmante e che la spinse ad allontanarsi dalla cucina il più rapidamente possibile.

Brahms pareva, in realtà, vivere di una strana esistenza. Greta non lo vedeva mai andare in bagno, o mangiare. Cercava di ricordarsi se l'aveva visto toccare cibo o bere durante gli unici due pasti che avevano preso insieme, il giorno in cui era arrivata, ma le sembrava di aver ritirato il suo piatto esattamente come sua madre gliel'aveva messo davanti. Inoltre, a meno che nel suo armadio non ci fossero solo completi neri tutti identici tra loro, Greta doveva supporre che non si levasse i vestiti che aveva indosso da prima che lei giungesse a casa Heelshire; il che la portava a chiedersi se davvero, come aveva detto la madre di Brahms, fosse incapace di vestirsi e svestirsi da solo. Pensò che forse doveva davvero aiutarlo lei, come le aveva mostrato la signora Heelshire. Ma l'idea di toccarlo le dava degli sgradevoli brividi di qualcosa che somigliava molto alla paura. Brahms non le chiese aiuto e lei non glielo offrì.

Una notte, Greta aprì gli occhi nell'oscurità della sua stanza. Si guardò intorno disorientata, senza riuscire a ricordarsi cosa l'avesse svegliata.

Aveva sete.

Scese dal letto e a tentoni uscì dalla camera. Cercò l'interruttore della luce sul muro, poi cambiò idea, per paura di svegliare Brahms. Tornò dentro, prese una torcia da un cassetto della scrivania, l'accese e uscì di nuovo in corridoio. Puntò la luce verso la porta di Brahms, dall'altra parte del corridoio. La porta era chiusa e da dentro non veniva alcun suono.

Greta scese le scale e andò in cucina. Si versò un bicchiere d'acqua. Lo bevve, lo mise nel lavandino, uscì dalla cucina e risalì le scale.

Sul primo pianerottolo, si sentì improvvisamente osservata. Si girò di scatto, puntando la torcia; ma c'era solo, appeso al muro, un quadro che rappresentava la famiglia Heelshire.

Greta esitò, poi si avvicinò, incuriosita, per osservare meglio Brahms a otto anni. Sembrava un normalissimo ragazzino. Guardava fisso verso lo spettatore, mentre sua madre lo teneva per mano. Solo, lo sguardo non era affatto lo sguardo di un bambino di otto anni: gli occhi color grigio scuro erano serissimi, il volto pallido, gli angoli della bocca piegati verso il basso.

Greta si chinò per guardargli bene gli occhi. In quel momento, la mano libera di Brahms scattò fuori dal quadro e le serrò la gola.

Greta si svegliò di soprassalto, sola nella sua stanza.

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