Stanze.

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Ho passato tre giorni ad occuparmi della mia stanza.
Ne ho passati undici ad occuparmi delle mie stanze.
Tre giorni mi sono serviti a progettare sul rinnovo dell'arredamento, a pulire e a riordinare almeno la facciata.
Togliendo la polvere mi sono resa conto di quante "cazzatine" io abbia accumulato sulle varie mensole e il comodino. "Cazzatine" che sembrano tali alla vista ma che sono simbolo molti ricordi che conservo in me.
Ho il difetto di vivere nel disordine, perché sono dell'idea che devo vivere in mezzo a ciò che mi rappresenta. Sono folle, testarda, impulsiva e chi più ne ha più ne metta... per questo ho la sedia della scrivania con giacche diverse, la roba piegata ma non nell'armadio, un libro da leggere ma non nella libreria, un ventilatore lasciato dall'estate precedente, le sciarpe di un inverno ormai troppo lontano. Ho il vizio di coltivare gli opposti, perdermi nelle vie di mezzo, affogare nel negativo ed esaltarmi a mille per il positivo. Amo il grigio, amo ponderare, ma nulla è in equilibrio e nulla lo sarà mai.
Sono preda preferita dell'indecisione, del senso di colpa, del sentimento, del controllo, della fuga e della malinconia.
Sono fanatica del nero, delle scale di grigio, ma del verde speranza, del blu zaffiro, dell'azzurro del cielo terso.
Eppure, mi sono accorta di aver bisogno di pulire la mia immagine esteriore.
La mia testa lavora in una maniera strana: un giorno mi danno fastidio le cose fuori posto, il giorno dopo accumulo in ogni angolo qualcosa di misto, apparentemente senza senso. Un giorno sono fredda e razionale, il giorno dopo scovo vecchi ricordi riconducendoli alla vita attuale e mescolandoli, facendo un gran casino.
Perché mi sono occupata dell' immagine esteriore della mia camera? Per reazione. Tutte le altre stanze inerenti al mio essere sono in disordine, indescrivibili, incomprensibili. Ma almeno volevo andare a dormire sapendo che avevo tolto quel velo di polvere.
Sembra sciocco, lo so, ma quel velo di polvere è radicato in me, si poggia su ogni cosa che io faccia o viva. Per questo, in undici giorni, non ho scritto nemmeno una parola. Non sapevo cosa dire. Non sapevo come fare ad esprimere il casino che sentivo. Finché sono oggetti sono in grado di metterli al loro posto, ma quando si tratta di interiorità sono assolutamente incapace.
A volte mi sento dire che l'interiorità più è disordinata e più risulta complessa ed interessante. A volte mi rendo conto di non volere quella che sono. Poi passa la notte, affronto i mostri, gli acari, la pinza per capelli riposta sulla scrivania piuttosto che davanti allo specchio, dove dovrebbe stare. Li affornto guardandoli in faccia, fronte contro fronte, piangendo o rimanendo sveglia, attivamente o passivamente.
Quella pinza è solo una goccia nel mare di cui siamo fatti. Di cui sono fatta io stessa. Ognuno di noi cela un mare immenso, inesplorato, sconosciuto, con un miliardo di microorganismi che richiedono troppo tempo per essere studiati e dargli un senso logico.
Io sono fatta così. Tengo a ciò che posso controllare, tengo ancora di più a ciò che non posso controllare. Il perché non lo so nemmeno io, forse solamente reputo l'ignoto necessario, reputo necessaria la polvere. A volte serve. Può servire, un giorno, a stimolarci nel scavare oltre, oltre tutto ciò che diamo a vedere. A volte può servire a nascondere, perché il bisogno di tenere serrate emozioni e pensieri mi rende più libera di costruire la mia intimità.
Non lo so. Mi sono sentita affogare in quel mare, eppure non sono riuscita a fare a meno, e non riesco a fare a meno, di nuotarci dentro. Certo, ogni cosa ha il suo tempo e il suo prezzo, soprattutto il suo prezzo.
Quanto costa riuscire a guardarsi nelle proprie stanze interiori per aprire quei cassetti che celano il nostro mondo? Quanto costa leggere quelle pagine scritte da esperienze, affetti e amori? Tanto, troppo. Ma quella serratura è essenziale. Ci dà il beneficio della scelta. Possiamo aprirla o lasciarla chiusa. Possiamo soffrire e imparare, o ignorare e proseguire, a prescindere dal vissuto, buttandosi a capofitto nell'impetuosità dell'ignoto. Ognuno sa cosa é meglio per se, tra le due strade.
Ho capito che ci sono cose per le quali ci vuole concentrazione ed impegno per riuscire a vederle, a riviverle con i ricordi.
Esattamente come spolverare la mensola dove ho ritrovato vecchie pietre di quando andavo al mare da piccola, o delle rose secche di qualche compleanno passato rimaste lì come oggetto di decoro. Abbiamo l'ossessione di decorare, ma non di colorare. Attacchiamo fronzoli e fiocchetti ad una base grigia ed inesplorata, senza avere il coraggio di colorare davvero ogni nostro cassetto.
A volte è comodo, a volte è necessità, a volte è pigrizia, spesso è paura.
Ho starnutito mille volte pulendo quelle mensole, esattamente come starnutisco mille volte aprendo i cassetti del mio trascorso.
Ma mi rendo conto di essere viva, in qualche modo.

(Opera: Pasquale Mastrogiacomo.)

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