Chiave.

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Che poi non lo sai cosa lasci andare. O meglio, non lo sai finché non arriva il momento in cui devi farci i conti.
Sì, perché non smetterai mai di farci i conti. Arriva quel momento in cui non importa ciò che c'è in ballo in quel momento, importa solo che, in un modo o nell'altro, devi ballare. E come fai a farlo? Beh, facendolo e basta.
Avrai la coscienza di averci provato, di aver mollato; avrai la coscienza per riconoscere tutte le cose che effettivamente ti sono passate davanti, dal concreto al presupposto, dall'immaginario al palese. Sai di aver continuato a spingere una forma rotonda di gomma dentro un incastro quadrato, vedendola piegarsi cercando di entrare, ma senza mai riuscirci, perché troppo contrastante con l'ignoto che si ha davanti, che già ignoto era e che lo sarà ogni giorno di più.
Si parla, si urla, si piange, eppure niente sembra bastare, né a ricucire né a spezzare definitivamente.
Niente si può cancellare come niente può effettivamente rimanere, tangibile, così com'è stato. È quando non riesci ad accettarlo che arriva il problema. Non lo accetti proprio perché hai pensato troppo a ciò che hai perso, quindi non è malattia né dipendenza, è semplicemente non accettare che hai avuto troppo fra le mani fin quando quel letto te lo ritrovi vuoto il giorno dopo, così come le attese a fine turno, così come i messaggi dove semplicemente hai qualcuno che ti chiede se hai cenato, se hai avuto tempo di respirare in un turno difficile, e mille altre cose.
Tutto ciò accade quando ormai hai esaminato tutto fino all'ultima virgola di ciò che hai vissuto. Non importa più quanto tu possa aver lottato per riprenderti ciò che avevi, né quanto lo si abbia fatto per rimediare.
Non importa più nulla, se non l'assenza.
Ed è proprio lei ad ucciderti, a logorarti, giorno dopo giorno. Un'assenza che mai potrai compensare ma per la quale avrai semplicemente dell'affetto. Già, pure l'assenza riesce a farsi voler bene, forse perché è la prova che qualcosa sia esistito davvero.
Vorresti solo uno stupido interruttore che spenga tutto, ma allo stesso tempo vorresti aver filmato quel tempo così importante della tua vita per riguardarlo da spettatore, come un film.
Hai lottato, perso, sperato, valutato, immaginato, rincorso, aspettato, lasciato spazio ed invaso; sei tornato e sparito ancora. Per cosa? Per trovarti davanti all'ennesimo e decisivo bivio tra il lasciar andare e dimenticare qualcosa che non puoi segregare in nessun cassetto, e il provarci ancora perché, qualsiasi cosa tu possa fare, sarà sempre meglio che lasciar perdere.
Ma hai davanti un muro che si sgretola appena ma che non cederà mai a ciò che vorresti. Perché forse non lo vuoi davvero, o perché solamente non c'è verso di cambiare la mente di chi hai davanti. Si è felici, si sorride, ci si supporta e sopporta sempre in due... e in due ci si perde, ci si spezza come fruscelli fragili nel bel mezzo di una tempesta.
Una tempesta che non dà né vinti né vincitori, solo feriti, sempre e comunque.
Non c'è la chiave giusta per aprire un porta invalicabile. Non c'è chiave che non si spezzi davanti alla realtà, per certi aspetti contraria alla volontà.
Non c'è chiave che sblocchi il lucchetto di quella parete stagna.
Ma quanto può esser triste allontanarsi per dovere?
Quanto può essere triste realizzare di aver perso ciò che poteva accompagnarti "per sempre", senza trovare soluzione a quel tormento?
Quanto può esser triste scegliersi sempre, senza mai scegliersi davvero?

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