7.00 a.m.

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Sono le sette del mattino, di nuovo.
No, non sono mattiniera. Semplicemente non ho ancora dormito. Non riesco proprio a chiudere occhio. Sembra tutto così uguale, così interminabile.
Cos'è il giorno e cos'è la notte? Non vedo più distinzione.
La creatività svanisce, si brucia piano piano. Prende piede il grigiore del mondo e la monotonia. La noia. Ma non quella noia sana, dove puoi creare, pensare, elaborare, scoprire... No, è quella noia che sa di malattia, è corrosiva, un parassita che ti succhia via l'anima, goccia dopo goccia, lentamente,  corrodendoti. È quella noia che ti tiene sospeso su un sottile filo tra l'adagiarti in qualcosa che non esiste ed un'attesa senza nome. Ma attesa di cosa? Cos'è che sto aspettando? Perché io, cosa aspettarmi, non lo so proprio più. Non riesco più ad ipotizzare, non sembra possibile che le mie celluline grigie si muovano in un flusso positivo ed incoraggiante.
Intanto mi rotolo ancora tra le coperte, in un letto giusto per me, dove non c'è spazio per un'altra persona che lascerebbe il suo posto tiepido una volta andatasene. Cerco solo di non svegliare il gattino che mi dorme accanto ai piedi, laggiù in fondo, beato sopra le coperte di riserva.
Ora ho caldo, ora ho freddo. Manco il mio fisico reagisce più normalmente.
Cerco di scandagliare tutte quelle proposte realistiche che mi si palesano davanti, nella mente, per trovarne qualcuna più affidabile a cui aggrapparmi.
Mi chiedo se io abbia ancora bisogno di essere abbracciata. Mi chiedo se saremo in grado di ripartire facendo finta di niente, se quell'illusione di normalità sarà ancora fattibile.
Non lo so, non so più niente.
Sfioro le mie giornate come fossi bendata cercando qualcosa che non trovo; un po' come chiedere ad un cieco di riconoscere i colori, ecco.
Ho paura. È quella la sensazione tormentante e più riconoscibile fra le tante. È quella che mi fa capire che qualcosa di me ancora funziona, in mezzo alle tonnellate di disillusione ed incertezza.
Vorrei poter urlare, ma non ho voce. Piango, ogni tanto, se scappa.
Non so nemmeno più come continuare ad innaffiare questa pianta morta, che è il mio discorso.
Sai che c'è? Chiudo, chiudo i social, mi metto le cuffie e fisso il soffitto. Ancora.
Forse è la cosa migliore. Forse, prima o poi dormirò, l'unica cosa che mi permette di separare le giornate le une da altre.
Buonanotte.

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