Caccia al Vampiro

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Crowley credeva che tornare al lavoro l'avrebbe aiutato a stare meglio, a sentirsi meno colpevole di essere stato il solo a sopravvivere; che tornando a combattere le battaglie quotidiane avrebbe visto il grande disegno di Dio per lui, il motivo per cui meritava di vivere più di Chess, di George, di Dom e di Dakin... ma quello che non aveva previsto era quanto sarebbe stato doloroso rientrare in centrale e vedere le loro scrivanie occupate dalle persone che avevano sostituito i suoi compagni. Sentì una stretta al cuore vedendo che non c'era più la piantina rigogliosa sulla scrivania di Dakin, e gli scacchi fermacarte di Chess non erano più sparsi sulle cartelline come li metteva lei, rigorosamente alternando uno bianco e uno nero.

Raggiunse la sua scrivania con la sensazione di avere qualcosa impigliato in gola, quindi non vi si sedette; deviò verso la caffettiera e si versò una tazza in modo quasi automatico, così come senza prestarvi alcuna attenzione ne prese un sorso. Era caldo, ma non percepì alcun sapore e questo era un enorme passo indietro nel suo combattimento per tornare alla vita.

Girò su se stesso bruscamente e tornò alla scrivania, sedendosi sulla sua sedia cigolante, e prese a spulciare le copie dei rapporti alla caccia di quelli del caso del Vampiro di West End.

Non so chi tu sia, ancora. Non so che faccia tu abbia, ma è successo, bastardo. Non mi hai ucciso e questo è l'errore che ti inchioderà... io ti inchioderò, quale che sia il prezzo.

Per qualche attimo sentì le viscere ribollire di rabbia, ma poi sospirò, abbandonò i fascicoli e si appoggiò contro lo schienale. Lasciò la tazza e si passò le mani sul viso.

No, è sbagliato così... in questo modo non lo prenderò mai... Crowley O'Brian Eusford è l'uomo migliore della squadra omicidi, e lo è perché non si lascia mai schiacciare dalla rabbia o dalla vendetta.

Tolse le mani dal viso e fissò il soffitto beige, respirando profondamente. Iniziò ad accorgersi dei suoni dell'ufficio: dei telefoni, dei passi, del rumore del fax che stampava qualcosa, delle voci di tutte le altre persone che non aveva nemmeno degnato di uno sguardo o di un saluto. Percepì l'odore del caffè, del deodorante al talco di qualcuno, il profumo zuccherino di una ciambella o di un dolce simile e si accorse di avere fame.

Raddrizzò il collo e lasciò scorrere gli occhi tutt'intorno. I colori di tutto sembravano più vividi di prima. Notò le facce familiari così come quelle nuove e le studiò tutte con la spontanea, disinibita curiosità dei bambini.

Rimase lì a osservare per qualche minuto, ad ascoltare le voci, prendendo consapevolezza della questione più importante che non doveva più perdere di vista: era ancora vivo. Era vivo, poteva prendere l'assassino dei suoi amici, ma voleva anche dire che poteva fare ancora tutto quello che gli piaceva di più. Poteva ancora sentirsi importante per la comunità, poteva chiacchierare con gli amici, poteva mangiare il pasticcio di carne, poteva bere birra, poteva ancora sentire tra le braccia il corpo di una donna o di un uomo, poteva fare una doccia calda, e migliaia di altre piccole cose che rendevano la vita praticamente perfetta...

«Eusford?»

Crowley girò lentamente sulla sedia e guardò la donna che gli aveva parlato. La conosceva, era Rachel Bailey, una ragazza dall'aria così dolce da immaginarla molto più facilmente come maestra d'asilo o toelettatrice di piccoli animaletti graziosi piuttosto che come agente di polizia. Ormai aveva trent'anni ma sembrava ancora una ventenne, non la vedeva da qualche anno ma ricordava molto nitidamente quanto gli fosse piaciuto baciare quel viso rotondo e passare le mani fra i suoi riccioli castani, senza voler indugiare su altri tipi di linee curve.

«Ciao, Rachel. Come va?»

«Beh... sto bene, io, e tu?»

«Mh, è una domanda un po' bizzarra da farmi... se tu sei qui e non all'unità interventi speciali ci sarà un motivo.»

Il Vampiro di West End {OwariNoSeraph AU}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora