Quattro rose viola

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Joey Alford aveva perso il vizio del fumo da circa dieci anni, sostituendolo dapprima con l'insalubre mania di rosicchiarsi le unghie e in seguito con una quantità spropositata di gomme da masticare: fu sorpreso di veder riemergere quel tic che la sua stessa moglie aveva detestato tanto e dopo cinque giorni tutte le sue dieci dita avevano unghie decimate fino quasi a sanguinare.

Quando un'infermiera entrò nell'ambulatorio si spostò rapidamente alle sue spalle e tentò di sbirciare all'interno. Intorno al letto vide il medico con una piccola pila intento a eseguire un esame di reattività della pupilla, un'infermiera che staccava elettrodi e altre due che si affaccendavano a fare chissà che cosa. Non vide altro in quella manciata di secondi prima che la porta si richiudesse.

«Maledizione.»

Si voltò martoriandosi il pollice già provato, ciondolando verso le sedie del corridoio, quando la porta si riaprì: uscirono tutte le infermiere tirando e spingendo il letto. Tentò di seguirle ma venne bloccato dal medico. Gli ci vollero alcuni secondi per ricomporsi.

«Allora, come sta?»

«Gli esami non evidenziano danni cerebrali, nonostante la massiccia perdita di sangue... i due colpi hanno mancato il cuore di un soffio, uno da un lato e uno dall'altro, e nonostante l'arresto cardiorespiratorio il corpo non ha subito conseguenze... è... non ho mai visto niente del genere nella mia carriera, e ho fatto vari esami aggiuntivi perché... beh, perché non ci si crede.» ammise il medico. «Che posso dire? È un miracolo. Non è morto e tra qualche tempo uscirà di qui praticamente come nuovo. Se non è un miracolo questo non so cosa potrebbe esserlo.»

«Eh! Certo che lo è, dannazione! Posso parlarci adesso?»

«Beh, sì... gli abbiamo tolto l'ossigeno, ora riesce a respirare, quindi può anche parlare... ma è ancora convalescente dall'operazione, quindi non lo faccia alzare né agitare... è nella stanza... Marjorie, nella dodici?»

Un'assistente sanitaria con la divisa color giallo si fermò mentre passava loro accanto tenendo in mano una rosa e guardò il medico vagamente confusa per un attimo, poi annuì.

«Se sta parlando del signor Eusford, sì, nella dodici...»

«Grazie.» rispose Alford.

Cercò per la seconda volta di partire con il suo passo notoriamente spedito, ma la donna lo trattenne per il braccio e gli porse la rosa.

«L'hanno lasciata per il paziente, può portargliela lei?»

Gliela mise tra le mani e si affrettò a tornare al carrello sanitario e spingerlo via con il suo macabro carico di guanti usati, asciugamani impregnati di sangue e altre cose che al capitano ancora davano un solenne fastidio allo stomaco. Abbassò gli occhi verdi sulla rosa, che aveva un lungo stelo senza spine, una corolla di petali di un viola intenso ed era avvolta da un foglio di carta da composizione che era argentata dentro e nera sull'esterno, stretta da un lungo nastro rosso intorno al gambo.

Scrollò le spalle e partì spedito per raggiungere la stanza dodici: trovarvi dentro Crowley che si appoggiava più dritto contro i cuscini con l'aiuto di un'infermiera fu un balsamo per lui dopo quella difficile settimana.

«E il popolo eletto sarebbero gli ebrei? Sono gli irlandesi, piuttosto!»

Crowley girò la testa, incrociò il suo sguardo e sorrise, ignorando del tutto l'infermiera che metteva un nuovo flacone alla flebo nel suo braccio.

«Capitano... oh, non dirmi che quella è per me, ti potrei ammazzare. Lo sai che non sono il tipo di uomo che si conquista con i fiori...»

«Eh? Ah, questa? No, te l'ha lasciata qualcun altro poco fa, non so chi.»

Il Vampiro di West End {OwariNoSeraph AU}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora