Come l'Eden

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Quando il mercoledì seguente il cellulare di Crowley squillò Ferid si riscosse dai suoi pensieri turbolenti solo per lanciargli un'occhiata ansiosa. Lui, dopo aver guardato il display senza cambiare espressione, girò il telefono a schermo in sotto con un'imprecazione a mezza voce. Ferid tornò a svuotare la credenza della cucina per continuare le sue pulizie di casa.

Negli ultimi giorni l'atmosfera del numero ventiquattro era tesa come mai prima di allora: i due coinquilini faticavano a parlarsi in tono naturale, trovandosi a volte inspiegabilmente nervosi, a volte artificiosamente allegri; dopo ogni tentativo di conversazione il disagio non faceva che aumentare tanto che ognuno di loro decise da sé di parlare solo se necessario.

Ferid finse di andare a frugare in un cassetto alla ricerca di un altro strofinaccio e mentre si accovacciava lanciò un'altra occhiata a Crowley. Lui non se ne accorse, preso com'era a scrivere i suoi bigliettini: negli ultimi due giorni infatti aveva cominciato a scrivere su piccoli biglietti tutto quello che gli sembrasse rilevante sul Vampiro di West End. Tutti i luoghi, le date degli omicidi e del giorno in cui i bambini avevano incontrato Ferid, nomi di persone collegate che il suo consulente non sapeva chi fossero e svariate altre informazioni, e l'intera parete del soggiorno accanto alla televisione ne era ricoperta. Fu a quella che Ferid lanciò uno sguardo furtivo.

È proprio come nei film, quando i poliziotti appiccicano le cartine, i nomi e le foto sulla parete e fanno i collegamenti con i fili... ma di solito, per il detective non è mai un buon segno.

Ferid si appoggiò al bordo del mobile e attorcigliò lo strofinaccio intorno alle mani senza accorgersene, ma invece s'accorse eccome di aver cercato di mordicchiarsi il labbro nel suo nervosismo: sussultò per il dolore e si sfiorò il taglio che era ancora una brutta, vistosa macchia scura che talvolta gli dava l'impressione di fargli biascicare certe parole.

Era incerto se parlare o no, perché Crowley sembrava più concentrato e più grave che mai, e alla fine si alzò dal tavolo per aggiungere altri fogli al suo muro e Ferid perse il poco coraggio che aveva, quindi restò a guardarlo con l'orrenda sensazione che tutto fosse colpa sua. Per non lasciarsi sopraffare da quel pensiero spostò il frullatore e lo portò fino al tavolino per non mettere disordine nel caos personale che Crowley aveva creato sul tavolo della cucina.

Avevo ragione a volerlo lasciar perdere... lo sto rovinando. È tutta colpa mia... se non fossi andato a trovarlo in ospedale con quegli stupidi fiori, se avesse lasciato che le cose facessero il loro corso, oggi lui...

Ferid alzò gli occhi sul suo profilo dopo aver appoggiato il frullatore, ma lui continuava a non guardarlo mai e questo lo feriva moltissimo, perché aveva imparato in tutto quel tempo insieme che spesso i suoi occhi blu parlavano molto più della sua bella bocca.

«Crowley.»

Il suono della propria voce nel silenzio di quella casa stupì Ferid tanto quanto Crowley, che comunque non si voltò e rimase a fissare la fila di glifi di Grimbald.

«Cosa c'è?»

Guardami!

Avrebbe voluto davvero riuscire a dirlo con tutta la forza possibile, ma si ritrovò a tacere, incapace di parlare anche solo per dire una cosa qualsiasi. In un altro momento Crowley l'avrebbe incalzato, l'avrebbe spinto a fidarsi di lui e a dirgli che cosa sentiva... ma in quei giorni sembrava che non gli importasse affatto e riprese a incollare i suoi fogli senza aggiungere nulla, come si fosse accorto che la voce che aveva sentito chiamare era solo la radio o la televisione.

Ferid rimase sconvolto da quell'atteggiamento gelido; si rialzò, sparì nel bagno il più in fretta che poté e sbattendo la porta più forte di quanto avrebbe voluto, e con un sospiro tremante si lasciò cadere sul bordo della vasca.

Il Vampiro di West End {OwariNoSeraph AU}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora