II - Il sogno

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Si svegliò di soprassalto, come accadeva molto spesso, sempre più spesso.
Una figura dai capelli neri e gli occhi grigio tempesta cadeva in un lago, in una grotta sotterranea, tirato giù da mani, molte mani, fino a che lo scintillio nei suoi occhi si spense.
L'ultima cosa che vedeva prima di svegliarsi erano sempre quelle iridi così simili alle sue eppure così diverse. Quelle erano ricche di comprensione, la comprensione di chi ha ormai capito che è giunta la sua ora, che non vi può sfuggire più.
Sapeva chi era quell'uomo, anzi, quel ragazzo appena diciottenne, quasi diciannovenne.
Era suo padre, Regulus Black. R.A.B.
Quante volte le avevano detto, fra i nonni e gli zii, che suo padre si era unito alle schiere di Voldemort? Quante volte le avevano detto anche che alla fine non era riuscito a svolgere il suo compito e lo avevano ucciso?
Ma quelle immagini, la morte di Regulus, di un Black, dell'ultimo Black, erano così diverse da quello che le avevano sempre raccontato e fatto credere.
Scosse la testa, riscuotendosi dai suoi pensieri, indossando perfettamente la sua divisa, controllando e sistemando ogni più minimo dettaglio, come avevano detto che facesse anche suo padre.
Le veniva naturale fare così e a detta dei nonni era una cosa tipica dei Black.
Come ultima cosa, guardandosi allo specchio per ammirare il suo lavoro, osservò la cravatta ed i colori dello stemma. Rosso e oro, così diversi dal verde ed argento di casa sua, della sua casa, del posto dov'era cresciuta.
Scosse di nuovo la testa, cercando di non pensare alla delusione che avrebbe letto negli occhi della zia, il disgusto il quelli dello zio ed il furore in quelli di tela della nonna.
Sospirò, legandosi i capelli con il fermaglio argentato regalatole al suo quinto compleanno dalla nonna paterna.
Passò una mano distrattamente sulla scritta, sull'unica scritta che vi era.
"BLACK" recitava.
Si incamminò verso l'uscita del dormitorio, camminando distrattamente verso la Sala Grande.
Arrivata si sedette da sola in un posto infondo, lontana da tutti e da tutti, non che servisse sia chiaro. Una Black non è vista molto bene in Grifondoro.
Specie dopo le ultime cose successe nella famiglia.
- Ciao, io sono Harry Potter, piacere- disse un ragazzo, lo stesso della sera precedente, sedendosi accanto a lei.
- Black, piacere Potter- disse lei, ma senza stringergli la mano che lui le stava porgendo educatamente, accompagnando la presentazione con un sorriso che faceva brillare gli occhi smeraldo, verdi che più verdi non si può.
A quelle parole il sorriso gli si gelò sulle labbra, lasciando solo l'ombra del sorriso radioso di poco prima.
Si alzò, andandosene via, raggiungendo i suoi amici che erano arrivati in quel momento.

Si sedette compostamente nel primo banco in prima fila, proprio davanti alla cattedra dove si trovava un gatto, seduto rigidamente.
- Buongiorno professoressa- salutò, tirando fuori dalla cartella nera come la pece i libri di testo, pergamene, piume e la bacchetta.
Lei saltò giù dalla cattedra, divenendo una signora dall'aria severa, vestita con un vestito verde smeraldo.
Il cappello a punta della sera prima non ven'era traccia, era come scomparso.
- Buongiorno signorina Black- salutò lei, compagnando con un cordiale cenno del capo.
Cominciò a leggere le prime pagine del libro, sotto lo sguardo scioccato della professoressa di Trasfigurazione.
Sembrava curiosa ed interessata da quella ragazza, così diversa dallo zio, ma con l'eleganza e la compostezza del padre. L'unica cosa che aveva preso dallo zio era la sfacciataggine, quel suo non stare troppo a ritirare attorno alle cose che gli interessavano, come ad esempio salutare l'insegnante, anche se era un gatto.
Poco dopo arrivarono tutti, anche se due Grifondoro tardarono e non poco.
- Forse sareste più utili se vi trasformarsi in due orologi da taschino- lì minacciò la McGranitt, mentre tutta la classe nascondeva a stento i risolini e ridacchiava ma solo internamente, dentro se stessi e nella propria testa.
Solo una ragazza non rideva, ne nascondeva il sorriso.
Non sfoderava nemmeno il suo solito ghigno.
Rimaneva lì, impassibile, con una maschera di freddezza, indifferenza e impenetrabilità estrema, ritta, seduta compostamente ed elegante come si addice ad una Black, fissando seria la professoressa aspettando che cominciasse a fare lezione.
Mentre l'insegnate spiegava gli alunni prendevano appunti, rigorosi, chi più chi meno.

- Adesso cos'abbiamo?- sentì chiedere da un'altro primino ad una ragazza dai capelli biondi.
- Pozioni, con i Serpeverde- rispose quella, mentre l'altro si disperava.
Una strana sensazione pervase il cuore della ragazza, mentre quell'emozione che non si riusciva a spiegare glielo prendeva, totalmente.
Sembrava quasi vergogna. Vergogna. Continuava a ripeterselo, cercando di capacitarsene, cercando di capire come fosse possibile che lei, una Black, provasse tale sentimento ed emozione. La vergogna era uno dei pochi sentimenti che non aveva mai provato in vita sua, mai.
Ma in quel momento sì. Pensare di dover vedere la casa a cui sarebbe dovuta appartenere ma di far parte della casa opposta... Rabbrividì al pensiero, riprendendo a camminare verso i sotterranei dove si sarebbe tenuta la lezione successiva, tenuta dal professore Piton, padrino di suo cugino.
Entrò in aula, per prima, sedendosi in prima fila.
- Annie Black- disse, con quella sua voce strascicata, Piton, mentre sentiva una stretta prenderla allo stomaco.
- Professor Piton- disse, mentre sentiva il disgusto dell'insegnante puntato addosso nello sguardo, mentre si voltava per sistemare qualcosa sulla cattedra.
Sapeva cosa stava pensando, che una Black smistata in Grifondoro non era una vera Black.
Anche il suo nome non si avvicinava neanche lontanamente a quello di una vera Black.
Annie.
Sua zia si chiamava Narcissa, un'altra sua zia Bellatrix, suo padre Regulus.
Erano tutti nomi che imponevano rispetto solo sentendoli.
Ma il suo era un nome normale, che non metteva i brividi.
Sua madre aveva insistito perché si chiamasse così, con un nome normale, volendo farle vivere una vita pressoché normale.
Non la vedeva da anni.
Non aveva idea di chi fosse, aveva solo il ricordo degli occhi azzurri della donna che le sorrideva, ma niente di più.
L'avevano allontanata da lei quando era piccola, volendo che crescesse come una vera Black, con l'idea di purezza che l'aveva quasi rovinata.
La classe entrò in fretta, annunciata dagli schiamazzi e dalle voci divertite e concitate.
Stava entrando anche quello che non voleva vedere.
Suo cugino, Draco Malfoy.
Un Serpeverde.
La fissò con quell'aria di superiorità, scontrando il suo sguardo contro una lastra di vetro del colore delle nubi temporalesche.
Un ghigno odioso gli si dipinse in volto, mentre la ragazza rispondeva per la prima volta con un ghigno che io ragazzo non le aveva mai visto indosso, ma che fece raggelare Piton riconoscendolo.
Era identico a quello di suo zio ogni volta che lo incontrava che era in vena di scherzi.
La vide mimare con le labbra un: Malfoy.
Il ragazzo strinse i pugni, mentre sentiva lo sguardo della cugina togliersi di dosso a sé.

La figlia di Regulus BlackDove le storie prendono vita. Scoprilo ora