Capitolo 40

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FIRENZE, SEI ANNI PRIMA


Ho la pessima sensazione che l'aria e l'ossigeno siano stati cancellati dal mondo con la velocità di uno schiocco di dita.
A terra e con le mani attorno allo stomaco, respiro appena tossicchiando e avvolgendo gli occhi nell'oscurità.

«Impara a cadere sui sassi e il pavimento sarà come un morbido materasso.» la voce di Martìn è lontanissima tuttavia la sento abbastanza limpidamente: «In piedi.»

No, non ce la faccio. Questa volta non riesco a rialzarmi.

«Avanti!»

Contorcendomi, porto la fronte sui sassolini, digrigno i denti mentre lascio che la mano destra aiuti tutto il corpo ad alzarsi, le ginocchia in terra, ritrovo un po' il respiro: «Basta, sono esausta.» imploro.

E odio implorare Martìn.

«La morte non aspetterà che tu ti riposi!» ribatte posando un piede sul mio fianco e buttandomi nuovamente a terra con una leggera pressione. Non mi ha fatto male, almeno non fisicamente, psicologicamente sono distrutta. «Credi che in casi di attacco aspetteranno che tu riprenda le forze? No Esme, non vedranno l'ora di ficcarti una pallottola in fronte!»

Schiena in terra, un flebile sole acceca ancor di più il mio povero sguardo appannato, il taglio di un'ombra mi avvisa che ora Martìn è sopra di me: «Avanti Esmeranlda Cortega, so che puoi fare di meglio.»

Il suo piede si alza inesorabilmente verso il mio viso.
Non so dove trovo le forze, non so cosa succeda al corpo e alle braccia mentre si muovono all'unisono verso la suola della sua scarpa. Una scossa sconosciuta corre in tutte le fibre del corpo fino a farlo scattare, rinnovato di pura energia.

Afferro il piede di Martìn, gli occhi riprendono a vedere con lucidità: «È Esmeralda de Fonollosa.»


BANCA DI SPAGNA, PRESENTE


A prima vista Martìn sembra il classico uomo pacato ed elegante, ma quando ti mette le mani addosso non ce ne è per nessuno.
Denver si muove con rabbia, Martìn con calma.
Denver non ha la minima idea di cosa sia la tecnica, Martìn potrebbe spezzarlo usando il mignolo.
Ecco la differenza colossale che fa sì che Denver cada a terra per l'ennesima volta, la frustrazione alle stelle sottolineata da un urlo quasi disumano, riparte verso Martìn ma lo schiva semplicemente spostandosi di lato.

«Lo ucciderà.» dice Rio con strana calma mentre si mette seduto.

La stessa insolita calma che c'è anche tra gli ostaggi. Forse la paura, forse il sapore del macabro spettacolo o la speranza che i rapitori si uccidano tra loro. Non so cosa li faccia stare in silenzio con gli occhi incollati a Denver e Martìn ma almeno se ne stanno buoni e per noi è tutto di guadagnato.

«No, si sta solo divertendo.» analizzo con attenzione il mio vicino, la sua calma e freddezza sono insolite, a quanto pare Rio è un ragazzo decisamente pieno di sorprese: «Guarda guarda il nostro piccolo hacker.» sorrido tagliente mentre osservo con un certo piacere il suo distogliere l'attenzione dal duello: «Fammi indovinare: io sono una donna per cui uccidere ma allo stesso tempo speri che Palermo uccida Denver per poi consolare Stoccolma. Giusto?»

Uno sbuffo fa alzare a malapena il petto di Rio, deglutisce e scuote la testa: «Ma che stronzate dici?»

Vorrei scoppiare a ridere ma riesco a trattenermi: «Sono una donna, ho un certo sesto senso per queste cose.» mi alzo in piedi stiracchiandomi portando le braccia verso l'alto: «Beh Rio, bastava chiedere.»

Con passo sicuro mi avvio verso Denver e Palermo.
E a giudicare dalla situazione, non credo di aver bisogno di armi.

Morto per la Libertà - Casa di Carta fanfiction [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora