Ventitré dicembre

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Niccolò aprì bruscamente gli occhi e si mise seduto, per poi portarsi una mano a reggersi la fronte.
Era solo un sogno..
Rivedere l'esatto momento in cui le aveva chiesto di sposarlo, ma anche l'esatto momento in cui era finito tutto, lo aveva più che stordito.
Si mise le mani fra i capelli e gli occhi iniziarono ad offuscarsi per via delle lacrime, ancora non riusciva a togliersi quei rimorsi dalla testa.
Non era interamente colpa sua se si trovava lì dentro, ma se non fosse stato maledettamente impulsivo e orgoglioso, se non si fosse fidato di colui che fingeva di guardargli le spalle, in quel momento si sarebbe ritrovato in casa sua, con la donna che avrebbe sposato e sua figlia, non su un letto scomodo e freddo dietro le sbarre.
Alzò di poco il materasso e prese tra le mani i fogli che aveva messo lì per non far leggere, poi afferrò anche la penna situata nello stesso posto.

dimmi che cose resta
Se vivi senza memoria
Perdo la voce, cerco la pace
lascio che la vita viva per me

"Sogni appesi" era uno dei tanti testi che aveva scritto in quell'arco di tempo, precisamente il secondo dopo "mille universi".
Il primo esprimeva la rabbia totale, uno sfogo da parte sua verso tutto il resto, erano passati solo pochi mesi da quando era in quel carcere e ancora non riusciva a perdonare sé stesso per esserci finito.
La seconda canzone invece, aveva un significato completamente diverso.
Ogni parola, dalla prima all'ultima descriveva la sua vita, dal primo momento che riusciva a ricordare.
Da quando lasciò un ultima volta un bacio sulla fronte di sua madre e una lacrima scese dalla sua guancia mentre le stringeva la mano, da quando in quella casa solo sua non riusciva a stare da altra parte se non in quella camera vicino alla finestra...
La sua vita era un totale casino che non riusciva a spiegare a parole, ma forse in quel testo un po' di riuscì.
Una cosa la sapeva, e ne era assolutamente certo.
Non aveva mai avuto una famiglia, qualcuno da amare e che aveva la certezza ci sarebbe sempre stato, almeno finché quella sera il destino decise di stare dalla sua parte e fargli conoscere Chiara.
Ormai non ci credeva più, lui che non viveva, ma esisteva e basta, si era ritrovato fra le braccia prima una ragazza capace di amarlo in qualsiasi modo e situazione, poi lei le aveva regalato ancora un'altra persona altrettanto importante, quella bambina che gli poggiarono in braccio appena nata mentre piangeva come una matta, che però sentendo un bacio sulla fronte dal suo papà iniziò a calmarsi.
Aveva la possibilità di ricominciare, di avere finalmente tutto ciò che voleva, eppure era andato di nuovo tutto in fumo.
Niccolò vide una lacrima cadere sul foglio che aveva tra le mani e si affrettò a posarlo per non fare ulteriori danni, ormai lì dentro era solo quello il modo per evadere dalla realtà.. scrivere.

-

«e rosso?»

«ehm.. red?»

«brava! Dai ti mancano quattro colori e hai finito, come si dice giallo?»

«dai mamma io non voglio fare inglese, non mi piace»

Gioia aveva iniziato da pochi mesi la prima elementare, ma non era esattamente propensa a svegliarsi alle otto meno venti di mattina e a passare cinque ore in quei banchetti.

«mi ricordi qualcuno» disse Chiara sospirando e chiudendo il libro di inglese, potevano fare una pausa dato che anche lei era abbastanza stanca dopo un'intera mattina in studio.

Subito dopo la laurea cercò di concretizzare tutti i suoi sforzi per diventare finalmente psicologa, era il lavoro che voleva fare da anni e non volle più aspettare, odiava stare sia sulle spalle di Niccolò che i suoi genitori, in quel modo avrebbe trovato la soluzione.
Da un anno quindi, con l'aiuto di suo padre, aveva aperto uno studio vicino la scuola di gioia, ormai data la sua bravura era molto conosciuta e di certo le mattinate lì dentro non erano noiose, tutt'altro.

«papà?» parlò Gioia interrompendo totalmente i suoi pensieri.

«si amore, anche a lui non piaceva particolarmente la scuola» rispose sua madre lasciandole una carezza tra i capelli e sforzando un sorriso.

La bambina si alzò dalla sedia e si sedette sulle sue gambe, per poi poggiare la testa sul suo petto e abbracciarla più forte che poteva.

«mamma ti posso chiedere una cosa? Non fa niente se non vuoi rispondere»

«dimmi»

«tu ami tanto papà anche se possiamo vederlo e chiamarlo una volta a settimana?
Le bimbe che ci sono nella mia classe parlano sempre dei loro genitori, e il loro papà c'è»

Chiara prese un lungo respiro e cacciò indietro le lacrime, non riusciva mai a parlarne con nessuno, figuriamoci con una bimba di sei anni.

«ascolta piccola, quando sarai più grande inizierai a vedere che non sempre va tutto bene, magari fosse così..
Credimi, tuo padre è la persona migliore che io conosca e si, lo amo tanto anche se possiamo vederlo poco.
E su questo posso metterci la mano sul fuoco, tuo padre ti vuole più bene di tanti uomini che vedono i figli ogni giorno, non dubitarne mai»

«anche se quei tizi ogni volta gli bloccano le mani e gli dicono di non stare più di cinque minuti con noi?» aggiunse la piccola riferendosi ai poliziotti.

«si, anche se possiamo vederlo poco e difficilmente, non fa nulla.»

«però perché adesso lui sta in quel posto e prima era qua..»

Ovviamente gioia aveva solo un anno prima che Niccolò finisse dov'era, eppure ricordava quando era a casa, quando la sera tornava e prima di dormire passava tutto il tempo a farla giocare.

«purtroppo non posso spiegartelo adesso, sei piccolina, ma ti prometto che tra pochi giorni si sistemerà tutto, va bene?»

Chiara aspettava il ventitré dicembre come attendeva il quattro luglio, il giorno in cui nacque gioia.
Solo che a breve nella prima data Niccolò avrebbe finalmente finito quei maledetti cinque anni da scontare, sarebbe stato rilasciato con la fedina pulita.

«me lo prometti?» disse la bambina fissandola negli occhi.

«si, te lo prometto»

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