Che prima o poi perdo il controllo

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«quindici minuti, poi direttamente in cortile per l'ora d'aria»

Niccolò ascoltò vagamente le parole dette dalla guardia mentre con la chiave gli toglieva le manette, ogni volta era come rinascere stare in un luogo che non fosse una cella e soprattutto libero.
Percorse qualche passo con altri due poliziotti che lo scortarono fino al tavolo d'incontro, almeno finché una piccola pulcetta non gli saltò letteralmente tra le braccia.

«papà!» urlò quasi Gioia stampandogli un forte bacio sulla guancia, non aveva la minima intenzione di staccarsi dalle sue braccia.

«ehi principessa» disse lui stringendola a sua volta e stampandole più baci sui capelli scuri, per poi sedersi ancora con lei in braccio.

Pochi secondi dopo alzò lo sguardo, e all'istante incontrò altre sue iridi chiare che lo guardavano con un mezzo sorriso.
Allungò la mano sul tavolo nella sua direzione e subito Chiara la strinse tra le sue, per poi stamparci un bacio sopra.
Non poteva avere troppi contatti ravvicinati con lei, Gioia era soltanto una bambina e non c'era nessun problema, ma se avesse voluto abbracciare anche Chiara avrebbe solo dovuto attendere gli incontri coniugali.

«papà prima io e mamma abbiamo preso l'albero nuovo di natale, questo qua è più alto, pure più di te» disse la bambina staccandosi di poco e mettendosi più comoda.

Ormai Chiara era abituata a passare il Natale e le festività dai suoi genitori, nonostante lo facesse a mala voglia.
Prima di uscire lasciava sempre un'ultimo sguardo alla casa, magari nella parte vicino al camino, dove in genere lei e Niccolò erano soliti a passare il natale, ed ogni volta nella testa le si parlava lo stesso ricordo...

-

«'tacci tua!»

Niccolò imprecò non troppo ad alta voce appena l'ennesima pallina di vetro cadde dallo scatolone, così a mala voglia si abbassò e finalmente poggiò la scatola ai piedi dell'albero.
Era la sera della vigilia di Natale, sicuramente era abbastanza tardi per addobbare l'albero, ma avevano passato tutta la giornata dai genitori di Chiara, dato che per la solita rimpatriata di famiglia non potevano mancare.
Riguardo però alla sera, preferivano sempre stare a casa, sia quando erano solo loro due, e a maggior ragione in quel momento che avevano una piccola scricciola nata da poco.
Gioia faceva parte delle loro giornate da circa due mesi, ciò che faceva di più era semplicemente dormire e osservare qualsiasi cosa come poteva.
Non era assolutamente iperattiva come si aspettavano i suoi genitori, dato che loro da piccoli erano tutt'altro che calmi.
L'unica cosa che forse poteva causare qualche problema, era che appena sentiva di stare in braccia diverse da quelle di Chiara e Niccolò iniziava a lamentarsi, il lato buono era che appunto con loro non versasse nemmeno una lacrima, succedeva raramente che la sentissero piangere.

«Niccolò, le parole!» lo richiamò Chiara appena raggiunse la cucina, nonostante Niccolò avesse parlato sotto voce si era ugualmente sentito.

«eddaje amo' ma c'ha due mesi, può mai capì che vuol dire?» si difese il moro indicando la bambina nella culletta che stringeva nei pugnetti delle mani la copertina di lana e li osservava attenta.

«in sua presenza non si dicono parolacce, poi lei è intelligente come sua mamma, guarda.. Gioia, cos'è questo?»

Chiara si avvicinò alla culletta e mosse di poco il barattolino di miele davanti a lei, al che la bambina cacciò di fretta il ciuccio e mostrò un piccolo sorrisetto sdentato.
La bionda afferrò il ciuccio e ci mise un po' di miele sopra, per poi darlo nuovamente a sua figlia.

«vedi, si vede che è mia figlia»

«intanto assomiglia molto di più a me» si vantò lui mentre continuava a decorare l'albero in attesa che Chiara lo raggiungesse.

«mh mh, vai ad accendere il camino già che ci sei, vai»

Il moro le stampò un veloce bacio sulle labbra e si abbassò sulle gambe verso il camino, sapendo già che a breve qualcuno avrebbe letteralmente urlato dalla gioia e gli sarebbe corsa incontro.
Chiara continuò ad addobbare l'albero in silenzio, almeno finché tra i rami vide tutt'altro che decorazioni.
Prese stranita una scatolina bianca, pensando alla motivazione per cui stesse lì.
Scartando la carta vide che in realtà le scatoline erano due, così aprì la prima che le capitò sottomano con delicatezza.
Era una collana in oro bianco con due ciondoli sovrapposti, il primo rappresentava una piccola chiave, mentre il secondo era un ciuccio con incise tre lettere,
"N, C, G".
Sorrise incoscientemente e aprì la seconda scatolina, la quale era un po' più piccola.
Al suo interno c'era un anello, ma non era un anello qualunque, uno di quelli col classico diamante e che brillano come il sole, era tutt'altro.
Niccolò aveva un anello in oro circa da quando aveva dieci anni, aveva un valore affettivo più grande del dovuto.
L'anello in sé era strutturato e ispirato al Colosseo, rappresentava la città eterna, la sua città.
Certo, teneva a Roma e la riteneva la città più bella del mondo, ma la motivazione principale per cui non toglieva quell'anello per nulla al mondo, era perché rappresentava l'unico oggetto che gli rimaneva di sua madre, non aveva altro se non qualche foto e ricordi sbiaditi.
All'età di dieci anni ovviamente non gli andava, diventando adulto iniziò a portarlo sempre, non lo toglieva per nessuna ragione e soprattutto nessuno sapeva il vero significato che aveva per lui.
Chiara era la sola a conoscerlo, era la sola a sapere della sua storia e di tutto ciò che era successo.
Fatto sta che in quella scatolina c'era l'esatta copia di quell'anello con una misura più piccola, e al suo interno c'era una frase che lei conosceva bene..
"Restami vicino, che prima o poi perdo il controllo"
Quante volte Niccolò non si era sentito abbastanza, aveva paura di perdere anche lei, l'unica persona veramente importante nella sua vita.
La prima volta che le disse quella frase era a pochi mesi dall'inizio della loro relazione, era ubriaco perso e tutto ciò che voleva era il riparo delle sue braccia, nulla di più.
Poggiò la testa sul suo petto e con la stessa ingenuità di un bambino, le disse quella frase mentre il suo viso veniva rigato da una lacrima.
Le stesse lacrime arrivarono in fretta sul viso di Chiara per quei due regali, tanto che si voltò piano e corse ad abbracciarlo.

«ehi ma io non volevo piangessi, volevo solo farti contenta» disse lui sorridendo e lasciando più baci sulle labbra della sua ragazza.

Chiara scosse la testa e continuò a baciare le sue labbra senza un freno, avrebbe tanto voluto ricambiare solo un decimo di tutto ciò che Niccolò faceva per lei ogni giorno.

«ti amo nì, e lo so che te lo ripeto venti volte al giorno, ma meriteresti di sentirtelo dire ogni secondo» gli disse la bionda mente si asciugava le lacrime e si poggiava con la testa al suo petto.

«lei mi ha insegnato cosa vuol dire amare, tu però mi hai insegnato cosa vuol dire essere amati, e qualsiasi grazie non sarà mai abbastanza per farvi capire quanto debba ad entrambe. » rispose lui sforzando un sorriso e cacciando un breve sospiro, quelle parole non avrebbe voluto dirle solo a Chiara, ma era tutto ciò che poteva fare.

Quel momento di romanticismo puro venne interrotto da un piccolo lamento, al quanto pare la piccola gioia reclamava le braccia dei suoi genitori.

«e questa pulcetta qui invece mi ha insegnato come ci si sente ad essere la persona più fortunata del mondo» disse poi Niccolò prendendola piano tra le braccia e lasciandole un leggero bacio sulla fronte.

Chiara rimase lì, immobile a guardare le due persone che amava di più così vicine, dire che aveva gli occhi a cuoricino non sarebbe stato abbastanza.

-

«perché tu ci sei a Natale, vero papà?»

I pensieri di Chiara vennero interrotti dalla vocina di sua figlia, la quale speranzosa pose quella domanda a suo padre.

«si, certo che ci sono» rispose il moro scombinandole i capelli e accennando un sorriso.

«me lo prometti papà? Sicuro sicuro?»

«si, te lo prometto»

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