Capitolo 4

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Mossa da un'inspiegabile pietà, ho invitato Alex ad entrare. Probabilmente perché quel maledetto ha continuato a suonare al campanello insistentemente per dieci minuti e nemmeno la minaccia di chiamare la polizia è servita. Pika era così irritato che si è nascosto dietro alla poltrona del mio studio. In più, nonostante l'insonorizzazione, temevo di incorrere nell'ira dei miei altri vicini di casi, quelli normali.

L'idiota, invece, in questo momento è sdraiato sul mio divano. Credo abbia visto giorni migliori, ma meglio così, perlomeno per me, perché almeno si dimenticherà sicuramente del mio simpatico pigiama. Una tale notizia nelle sue mani potrebbe trasformarsi in una bomba ad orologeria.

L'idea che lui rimanga qui tutta notte non mi tranquillizza affatto, ma so benissimo che informare Claudia vorrebbe dire trasformarmi nella protagonista di un film vietato ai minori. Non mi sono mai fidata di Alex. O meglio, non mi sono più fidata di Alex da quando ho iniziato a conoscerlo meglio.

All'inizio non era proprio così: la prima volta che l'ho visto, ho pensato di essere la ragazza più fortunata del mondo. Era bellissimo, con i suoi capelli chiari e ribelli. Mi ricordo che era sceso dalla moto, l'aveva parcheggiata e mi aveva seguita all'interno del palazzo. All'epoca ero ancora una sciocca romantica e, quando l'avevo visto entrare nell'appartamento di fronte al mio, pensavo di aver fatto jackpot. Qualche giorno dopo, la mia adorazione per lui era iniziata a diminuire. Mi ricordo ancora il momento. Quella volta ero stata presa da un delirio casalingo e volevo preparare una torta. In mancanza di zucchero e con zero voglia di uscire ero andata dal mio nuovo vicino, cogliendo l'occasione per presentarmi.
Dopo i classici convenevoli, lui mi aveva detto "Villa, Villa. La tua è la scusa più vecchia del mondo. Se vuoi passa più tardi, ci potremo conoscere meglio". E aveva scatenato l'ilarità dei suoi ospiti. Poi ho inquadrato il genere di persona: festini alcolici, una ragazza nuova a settimana, nessuna voglia di lavorare. E lentamente la mia prima impressione positiva si è trasformata. Quando ha vomitato nel mio portaombrelli, di proposito, ha toccato l'apice. L'idiota. E piano piano le cose sono peggiorate e ogni volta che ci incontriamo non perde occasioni di punzecchiarmi con il solo scopo di infastidirmi. Solo che non ho più 15 anni e questo atteggiamento mi è insopportabile.

Mi metto nel mio letto e cerco di non pensare all'ospite indesiderato, ma non è facile. È la prima volta che un uomo entra a casa mia dai tempi di Matteo. Certo avrei preferito una situazione diversa e, soprattutto, una persona diversa.
Russa anche rumorosamente e in modo regolare... e a furia di sentirlo, anziché infastidirmi, inizia a sembrarmi un rumore bianco.

Al mattino mi risveglio di soprassalto quando sento un vetro infrangersi.
«Ma che cavolo...», borbotto mettendomi a sedere ancora completamente inebriata dal sonno. Quando la porta della mia camera si spalanca, quasi mi viene un infarto.
«Buongiorno ragazzina», esclama l'ex moribondo, «senti, ho preparato un caffè per riprendermi, ma ho fatto un movimento strano e ho colpito il vaso. Dov'è la scopa?».
Non sembra minimamente dispiaciuto. Io lo fisso inebetita cercando di afferrare il senso delle sue parole. Lui ieri si sarà anche scolato litri di birra, ma quella fusa sono io.
E se ne accorge anche lui tant'è che non può resistere e si lancia in una delle sue stupide battutine: «Che c'è... hai voglia di scopare tu? Sempre che ti ricordi come si fa».
Colgo il suo stupido doppio senso e, con una mossa fin troppo rapida per i miei riflessi mattutini, lo colpisco lanciandogli un cuscino in faccia.
«Ehi, Villa», dice controllando l'orologio, «credo proprio di dovermene andare. Grazie per l'ospitalità... se vuoi c'è il caffè e, tranquilla, ti ripago il vaso. Ci vediamo alla prossima sbronza, ok ragazzina?». E in un istante se ne va, sento il rumore della porta di ingresso richiudersi. Mi chiama per cognome, mi chiama ragazzina...che fastidio.

Ancora confusa, mi alzo e vado a chiudere a chiave la porta di ingresso. Sul pavimento sono sparpagliati pezzi di vetro ovunque. Non vetro semplice, ma un vaso di Swarovski distrutto in più di mille minuscoli pezzi.
«Me lo ripaga», borbotto raccogliendo quello che fu il mio vaso preferito, «come se il problema fossero sempre e solo i soldi». Era il vaso che mi aveva regalato mia nonna quando ho comprato casa. Mi ricordo ancora il bigliettino: "Questo servirà per i fiori che ti manderanno i tuoi milioni di ammiratori".

Ah, nonna, se fossi qui vedresti quanto ti sei sbagliata. Per una volta.

Alter Ego - Quando le apparenze ingannanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora