Everyone's running Me though, I'm crawling

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E dire che c'era stato un tempo in cui Mark e Iris avevano riempito ore di parole, di chiacchiere allegre, dolci; di discorsi ricchi di aneddoti, di pezzetti di vita che li avevano portati poco a poco a legarsi in quel modo speciale che era solo loro.

Chi l'avrebbe mai detto che lì, in piedi uno di fronte all'altro, per la prima volta da quando si erano conosciuti, sarebbero rimasti completamente in silenzio a fissarsi?

«Ciao...»

Lo avevano sussurrato contemporaneamente. In poche lettere, tante sensazioni inespresse, promesse fatte – e infrante –, vita non vissuta.

Mark la fissava, le mani in tasca, le braccia tese. Era nervoso, Iris lo conosceva abbastanza da intuirlo. Anche lei lo era, lui se ne sarebbe accorto subito se avesse potuto vedere la sua mano stringere la maniglia della porta fino quasi a farsi male.

«Sarà meglio se entri...», si era spostata mentre lui allungava la gamba all'interno dell'appartamento. Aveva paura, una folle paura di percepire il calore del suo corpo troppo forte e di finire con il desiderarlo ancor più di quanto non avesse mai fatto.

Non doveva provare desiderio per lui, doveva odiarlo, doveva essere arrabbiata e urlargli contro che l'aveva messa nei casini ancora, che gli aveva spezzato il cuore, ancora. Glielo aveva frantumato di nuovo nonostante fosse stato lontano, nonostante lei lo avesse chiuso in un cassetto e lo avesse sigillato lì.

«Come stai?», chiese lui, timidamente. Aveva alzato appena lo sguardo in cerca dei suoi occhi, ma Iris aveva subito voltato il capo e chiuso la porta dietro di lui.

«Sei proprio sicuro di voler sentire la risposta?», il tono secco, tagliente.

Aveva pronunciato quelle parole con un'acidità che non aveva pensato di sfoggiare, ma la rabbia che sentiva si stava rivelando incontrollabile. Era arrabbiata, sì, ma molto più con se stessa che con lui. Era stata lei a permettergli di insinuarsi nella sua vita, come acqua nelle crepe profonde della sua esistenza.

«Scusami, – sospirò, accasciandosi sul divano – non volevo essere acida. Sono solo molto stanca...», e sapevano entrambi che era vero. Erano stanchi, tutti e due. Stanchi di finire sempre con lo scontrarsi anche quando facevano di tutto per evitarsi.

Iris aveva così faticato per innalzare quei confini tra loro, fabbricare un muro all'apparenza indistruttibile per poi scoprire che era solo un'illusione.

Lei, Mark, non sarebbe mai riuscita ad odiarlo. Quegli occhi chiari riuscivano a riportarla sempre a quel primo incontro, a quella prima volta in cui, da due semplici estranei, erano diventati l'uno la vita dell'altra.

C'erano esistenze in rovina, danni da calcolare, vite da ricostruire, lacrime da piangere, ma tutto ciò che Iris riuscì a pensare, mentre nel silenzio si fissavano, era che lo amava.

«Non volevo assolutamente tutto questo, non volevo, io... è stata tutta colpa mia.»

Fu lui il primo a riempire quell'imbarazzante, doloroso vuoto.

«Farò qualunque cosa per sistemare questa faccenda e, ti giuro – alzò lo sguardo e tornò a fissarla, gli occhi lucidi e amorevoli come li aveva sempre custoditi nei suoi ricordi – io te lo giuro, nessuno verrà a importunarti. Né Emma, né in giornali, nessuno...»

«Per quello arrivi tardi, credo che qualcuno abbia già il mio numero e il telefono – che in quel momento, neanche a farlo apposta, prese a suonare – squilla continuamente.»

Mark si alzò dal divano e, preso in mano l'apparecchio, ne staccò i cavi.

«Cambieremo il numero, non dovrai essere immischiata in tutto questo, non...»

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