Life is what you make it, You must shake it to make it right

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Una sera, seduta nell'ufficio del capo turno, Iris controllava le presenze di quel giorno. Mentre sfogliava le stampe, con lo sguardo scorreva i nomi e sentì il cuore fare una capriola quando scorse quello di Mark. Lui era tornato in quell'albergo! Lui era già lì, nello stesso edificio dove si trovava lei, e non lo aveva ancora visto! Le mani presero a sudare e quel muscolo traditore che aveva nel petto iniziò a battere sempre più furioso, concitato, come se volesse prendere il volo.

Non riusciva a capacitarsi di quanto poco le ci fosse voluto per arrivare a sentirsi in quel modo. Non riusciva a credere che, proprio lei, che aveva bandito qualsiasi tipo di relazione amorosa dalla sua vita, si sentisse così presa da una pop star qualunque di cui, per altro, sapeva poco o niente.

E quel poco che sapeva non era certo una buona cosa.

Era stata Gale, la collega con la quale solitamente divideva il turno, a farle notare, qualche giorno prima, che quel Mark Owen si diceva fosse impegnato e, a quanto pareva, pure in attesa di un bambino. Quando lo apprese, per poco non le venne un colpo e si convinse a toglierselo dalla mente con la stessa velocità con cui se ne era invaghita. Ma in quel momento, rivederlo si stava trasformando in una prospettiva così allettante che ritrosie e crisi di coscienza erano già andate a farsi benedire. Di certo, però, non era una di quelle donne senza scrupoli pronta a fregare il fidanzato ad un'altra, soprattutto se c'erano figli di mezzo. Anzi, spesso, quando si perdeva in divagazioni mentali poco consone su di lui, su di loro, se ne vergognava da morire. Tuttavia, il dramma era che non riusciva proprio a farne a meno.

Finché fossero rimaste delle fantasie – pensò – avrebbe anche potuto perdonarsi, dopotutto.

Ciò che Iris non sapeva, però, era che anche Mark si abbandonava con regolarità in fantasie analoghe alle sue. La sua vita era cambiata da quando i loro sguardi si erano incrociati la prima volta, e non era in grado di controllarsi. Non importava dove fosse, con chi e cosa stesse facendo, quegli occhi scuri erano sempre lì, pronti a strapparlo dalla realtà e fargli credere che esistesse un modo per averla solo per sé.

Fine maggio era ormai giunto e quella mattina Mark aveva fatto ritorno a Londra.

Non dormì affatto la notte precedente. Erano due o tre notti buone che riposava male, in effetti. Probabilmente aveva preso qualche virus perché si sentiva strano, stanco, spossato. Una volta in aeroporto, i suoi colleghi s'incamminarono verso le loro vetture per far ritorno a casa; lui, che viveva fuori Londra, avrebbe alloggiato in albergo, come sempre. Gary però non si sentiva sicuro, lo vedeva malandato e si preoccupò.

«Sei sicuro di non voler venire da noi? Non mi sento tranquillo nel saperti solo. Non hai una bella cera, amico.»

Anche gli altri colleghi erano dello stesso avviso, ma Mark aveva aspettato così tanto per rivedere la sua bella receptionist – sua, stava decisamente dando i numeri, visto che sua non lo era mai stata –, che non avrebbe permesso a un'innocua influenza di tenerli separati.

«No, tranquillo – gli rispose, prendendo il borsone in spalla –, mi prendo un paio di pastiglie, un tea e me ne vado a letto. Domani sarò come nuovo»

«Chiama, se dovessi aver bisogno, capito?» lo redarguì Howard prima di allontanarsi verso il parcheggio.

«Prometto che starò bene, ci vediamo dopodomani» rispose guardando i suoi amici con affetto. Erano la sua famiglia e in quel momento, come in altri della sua vita, gli stavano dimostrando quanto il loro legame andasse al di là della fama e del successo.

Ma se avesse confessato loro dei suoi pensieri riguardo Iris – si chiese –, cosa avrebbero detto?

Gary, Howard e Jason sapevano perfettamente dei lussi che si concedeva – e delle donne che spesso si accompagnavano a quei lussi. Non erano affatto contenti, ma, d'altro canto, non lo erano stati nemmeno quando avevano incontrato Emma la prima volta...

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