So good to be near you, so dark when you walk from my side

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Era il classico giorno piovoso di Londra. Nonostante la primavera inoltrata, quella città meravigliosa indossava sempre il suo vestito umido e un po' misterioso, come un velo trasparente e sottile che la teneva avvolta e le donava un'aurea dolce e malinconica.

Iris, ventiquattrenne italiana, diplomata da qualche anno, l'aveva scelta per un master nei servizi turistici, per imparare una lingua che aveva sentito sua sin da quando era poco più che una bambina e, sì, anche per cercare quella fortuna che, dove era nata, aveva sempre temuto di non trovare.

Aveva vissuto gli inizi in quella città un po' alla giornata. Qualche lavoro saltuario in bar o ristoranti; un paio di mesi in uno studio dentistico come segretaria; quasi un anno in un'agenzia di promozione turistica come guida e poi, grazie ad una conoscenza, era riuscita a ottenere un posto nel front office di uno degli alberghi di lusso più importanti della città, e vi lavorava ormai da un paio d'anni.

Dopo aver cambiato casa un paio di volte – o forse erano tre –, aveva trovato la sua dimensione insieme a due ragazze, una spagnola e l'altra irlandese, sue coetanee, con le quali condivideva un appartamento a South Kensington. Coabitavano senza incontrarsi mai, a causa degli orari di lavoro che non coincidevano, ma a loro andava bene così.

Credeva finalmente di aver trovato il suo equilibrio, la sua stabilità. Non aveva un ragazzo, a differenza delle sue coinquiline, dalle quali a volte – specie nel week end – si trovava messa alla porta per qualche ora di privacy, ma anche questo non le dispiaceva. Non sentiva il bisogno di legarsi a qualcuno, né di avere una persona accanto che, magari, finisse con il vincolarla o la obbligasse a scendere a compromessi. Non che fosse una suora di clausura, no; e gli uomini le piacevano parecchio. Molto semplicemente, preferiva evitare le relazioni. Forse, centrava qualcosa il fatto che le uniche due storie che avesse tentato di portare avanti – una in Italia e una a Londra – erano finite con il farla sentire uno schifo. Da quelle esperienze aveva capito che quegli esseri chiamati uomini non erano altro che un fascio di nervi guidati dall'ormone e che, per qualche ora di sesso, erano disposti a qualunque cosa. Anche tradire la persona amata. Per cui, aveva fatto pace con sè stessa e si era convinta a tenerli lontani, per un ragionevole lasso di tempo che avrebbe potuto variare da qualche anno a per sempre. Viveva la sua vita serenamente, ed era fermamente convinta di essere felice così. Finché un giorno, il classico giorno piovoso di Londra, tutto cambiò.

London
May, 7th 2006

«Lo so, lo so, sono davvero un caso vergognoso, scusami Gaz, sto arrivando!»

Il piccolo Mark Owen, che ormai tanto piccolo non era più, corse trafelato attraverso la hall, brandendo ancora in mano il cellulare. Non si capacitava del fatto che, di nuovo, si fosse addormentato e che, di nuovo, sarebbe arrivato in ritardo alla prove. Quella era sempre stata una prerogativa di Rob, non sua; ovviamente, il fottuto Re del Pop, non sarebbe stato lì con loro, per cui, mentre si avvicinava al bancone della reception, pensò sogghignando che forse stava solo cercando di ricreare la stessa atmosfera di dieci anni prima per evitare di sentire troppo la mancanza del suo amico.

O, forse, è solo che avrebbe dovuto smettere di portarsi in camera delle donne e fare l'alba ogni volta. Forse.

Per un millesimo di secondo, il suo pensiero andò ad Emma, e al fatto che l'aveva lasciata a casa, in attesa del loro primo figlio, mentre lui se ne stava in un lussuoso hotel della city e occupava il tempo che non passava a cantare, a sollazzarsi con belle donne, come era abituato a fare parecchi anni prima... in quegli anni in cui, sì, essere un membro dei Take That, giovane e single, era davvero uno spasso! Qualcuno avrebbe dovuto ricordare a Mark che il tempo era passato, che lui era cresciuto e che avrebbe dovuto mettere la testa a posto; ma come poteva essere possibile, se da quando la band si era sciolta a metà degli anni Novanta, all'apice del successo, non aveva fatto altro che sperare e sognare che quella gloria tornasse?

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