I have so many, so many flaws If you take me, take me they're yours

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Erano passati ormai svariati giorni da quell'ultima sera in cui si erano visti, Iris e Mark. Le pareti lucide e fredde di un bagno non erano mai state per lei così preziose, così care. I suoi pensieri erano un nastro continuo che trasmetteva sempre le stesse scene, in sequenza. Gli sguardi, i sospiri, le parole dette – e, soprattutto, quelle non dette; la fugace e intensa consapevolezza che quei pochi minuti insieme l'avrebbero forse riportata indietro ad ansie e preoccupazioni che tempo addietro aveva deciso di eliminare dalla sua vita. Purtroppo, però, aveva anche recentemente scoperto che senza quelle amare sensazioni non sarebbe più stata in grado di vivere.

Le giornate avevano ripreso a scorrere apparentemente tranquille e, dopo le vacanze, tutto era tornato alla solita routine: lavoro, casa, casa, lavoro... saltuariamente – quando non doveva fare doppio turno in hotel – palestra e corso di giapponese; e tutte queste attività erano a tratti intervallate da brevi telefonate di Mark che terminavano sempre troppo velocemente.

È sempre troppo impegnato, tra lavoro e quella che dopotutto è pur sempre la sua famiglia.

Troppo impegnato per vederla, troppo anche solo per stare al telefono con lei più di cinque minuti.

Non che si dicessero granché, poi.

«La promozione sta andando bene, siamo tutti molti eccitati all'idea del tour, ti ho riservato un pass per le date inglesi...»

Lavoro, lavoro e sempre lavoro. Si parlava quasi sempre di lui, dei ragazzi, dei viaggi e mai, a parte qualche rarissima volta, gli aveva sentito dire un "mi manchi", "vorrei vederti", "scappo per due giorni e ti raggiungo". Ok, sì, forse l'ultima ipotesi sarebbe stata al limite del fantascientifico, ma... accidenti!

«Se la temperi ancora, quella matita, finirai con il temperarti anche il dito», Gale richiamò la collega all'attenzione, visto che evidentemente se la stava viaggiando su un altro pianeta. «Me lo spiegherai, prima o poi, quello che sta succedendo o devo continuare a vivere di supposizioni basate su quanto bene ti conosco?»

Era vero: Iris, da quando era tornata in Inghilterra, non aveva mai parlato a nessuno di quanto successo in Italia. Si era limitata a brevi racconti goliardici di aneddoti quasi mai accaduti veramente, e aveva pompato parecchio su quanto si fosse divertita e quanto avesse riso tra partite a carte e abbuffate di panettone. Tutto pur di non dover raccontare la verità di giorni passati con addosso un pigiamone di due misure più grandi e il cardigan di suo nonno pieno di toppe, inzuppati di lacrime, e goffi tentativi di dimenticare l'indimenticabile.

Tutto, pur di non doverle raccontare che Mark è tornato prepotentemente nella mia vita, che sto soffrendo ancora come un cane e che, anche se so che è vergognosamente sbagliato, l'unica cosa che allevia un po' quel dolore è il pensiero che prima o poi potrò rivederlo, perdermi nel suo sorriso e farmi risucchiare via l'orgoglio da quei baci che non sono in grado di scordare.

«Penso che opterò per la seconda che hai detto; sono certa che le tue supposizioni non saranno così distanti dalla verità. Da qualunque punto di vista la guardi, la mia vita al momento è opaca come un brillante tarocco.»

Iris aveva detto a Gale già molto più di quanto avesse mai pensato di fare; Gale aveva capito molto più di quanto Iris potesse credere.

«Non sta a me giudicare cosa è giusto e cosa no: la vita è vostra; però stai attenta, per favore. Sono certa che le sue siano state davvero belle parole, ma tra il dire e il fare...»

«Non faccio che ripetermelo, Gale», rispose la ragazza all'amica, con un tono più stizzito di quanto avesse voluto. «Me lo ripeto di continuo, ma è così difficile dare retta alla ragione quando il cuore ha una voce così acuta, così disarmante.» Avrebbe voluto mordersi la lingua, Iris; più ne parlava, più il sentimento di illegale appartenenza che sentiva per quell'uomo, che non era mai stato suo veramente – e forse non lo sarebbe mai stato –, ingigantiva coprendo tutto il resto. Si alzò di scatto dallo sgabello, abbandonando matita, temperino e l'ultimo brandello di lucidità mentale che possedesse; s'incamminò verso lo spogliatoio per dare sfogo a quella frustrazione dirompente, come tante volte aveva già fatto in passato. Prima di sparire dietro la porta, però, si volse ancora in direzione della collega.

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