Capitolo decimo *Blaire*

201 45 37
                                    

In primo luogo, dovevo ritrovare me stessa.

Che diamine era successo da far sì che la mia indistruttibile armatura che per anni, pazientemente, mi ero costruita, fosse ceduta in quel modo?

Non piangevo da quando i medici avevano dichiarato l'ora del decesso di metà della mia famiglia, perché in quel momento?

Era solo un ragazzo che non mi voleva.

Ero abituata alle persone che fuggivano da me dopo aver saputo del carico di problemi che mi portavo dietro.

Se ci sei abituata, perché fa così male, Blaire?

Uscii dal portone di quella maledetta casa, asciugandomi le guance con la manica del cardigan e giurando a me stessa che non avrei più rimesso piede in quell'appartamento.

Fui per un secondo in dubbio su dove andare, perché tornare a casa mia era escluso: ci avrei trovato senz'altro Selina a cui avrei dovuto raccontare tutto ciò che era successo, visto che lei capiva sempre quando qualcosa non andava.

Avevo intenzione di raccontarlo alla mia migliore amica, solamente l'avrei fatto quando il dolore e l'umiliazione sarebbero stati leggermente meno cocenti.

Decisi, quindi, che c'era un unico posto dove avrei potuto trovare rifugio: sarei andata a trovare mia madre.


*


"Blaire, tesoro, sono contenta di rivederti!" mi salutò con un sorriso Judith non appena varcai l'ingresso della clinica Green Oak.

Era la mia infermiera preferita, dal viso aperto e disponibile. Sebbene fosse sulla cinquantina, era ancora una bella donna, dalle forme un po' morbide e con un sorriso che le illuminava sempre gli occhi chiari.

Nonostante fosse, per l'appunto, una donna adorabile, non potevo dire lo stesso: volevo bene a mia madre e l'avevo sempre fatto, ma la donna che andavo a trovare in quella clinica non era la mia mamma, bensì una donna vuota e privata della sua essenza.

Infatti, in seguito alla tragedia che aveva investito la mia famiglia, mia madre aveva avuto quello che i medici avevano diagnosticato come un trauma psicologico: un trauma successivo ad un evento di forte impatto che risulta 'non integrabile' nel sistema psichico della persona e quindi ne frammenta la sanità mentale. In poche parole, il dolore per mia madre era stato talmente devastante, che la sua mente aveva creato un dissociamento dalla realtà, isolandola quasi completamente dalla concezione del mondo esterno.

Era tutto ciò che i medici e gli psicologi che l'avevano visitata in quei due anni erano riusciti a dirmi. Ma quello che ero riuscita a capire davvero, lo avevo appreso tramite l'esperienza diretta: mia madre era alla pari di un vegetale.

Riusciva ancora a muoversi, a respirare, a masticare da sola, nonostante mi avessero avvertita che sarebbero state abilità che avrebbe via via perso se non si fosse 'risvegliata', mentre tutto ciò che concerneva la sfera delle relazioni personali era morta con lei la notte peggiore delle nostre vite.

Mia madre non parlava, non dava alcun segno di comprendere ciò che le veniva detto, non reagiva a nulla.

Aveva lasciato che il dolore le facesse oscurare tutto, me compresa.

Ed era così che io, in una notte, non avevo perso solamente mio fratello e mio padre, ma la mia intera famiglia.

In una notte mi ero ritrovata improvvisamente sola al mondo.

Cercai di scacciare dalla mente quei pensieri cupi e rivolsi un sorriso all'infermiera.

"Ti trovo alla grande, Jud. Posso andare a trovarla o è occupata con gli infermieri?"

MAYBE YOUDove le storie prendono vita. Scoprilo ora