Capitolo 10

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«Stai meglio?»

Annuisco lentamente portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

«Ieri notte hai dormito?» Mi chiede provando a cambiare argomento.
Scuoto la testa negando, sistemandomi poi meglio sul letto. Non riesco neanche a parlare dalla vergogna, questa probabilmente è la prova effettiva che sono fuori di testa.

«Ti succede spesso o è colpa mia?» Continua ma io non capisco a cosa si riferisce.

«Di avere queste crisi. Ne hai avuta una anche al matrimonio.» Si spiega quando mi vede confusa.

«Quando ci penso troppo e quando sono sola.»

«Quindi spesso», deduce ed io annuisco.

Lui sospira e guarda fuori dalla finestra. Sta piovendo a dirotto, così si alza e chiude la finestra per evitare che l'acqua bagni l'interno dell'appartamento.
Poi torna a guardare verso di me mettendosi una mano sul fianco e l'altra sul mento.

«Che dici? Ordiniamo una pizza?»

«Mi passi una bustina di ketchup?» Mi chiede ed io afferro la salsa e gliela passo.

Siamo seduti a tavola, l'uno accanto all'altra, a mangiare pizza e patatine fritte. Fuori non ha smesso di piovere, neanche per qualche minuto. Fortunatamente non fa molto freddo e la mia piccola stufa elettrica riesce a riscaldare l'appartamento.

Afferro un trancio di pizza e lo addento, per poi vedere Elijah fregarmi una patatina.

«Stanotte ti mando a dormire da Mrs Ono se provi ancora a rubarmi il cibo» lo minaccio e lui, come risposta, me ne ruba un'altra.

Gli alzo il dito medio facendolo ridere.
La sintonia che si è creata tra me e lui è straordinaria.
Non avrei mai immaginato di sentirmi così serena, accanto a qualcuno che neanche conosco bene. Elijah è un ragazzo straordinario, incredibilmente solare e non si lascia coinvolgere troppo da ciò che lo circonda.

Mentre aspettavamo l'arrivo del fattorino, per distrarmi, mi ha mostrato un album di suoi vecchi scatti, grazie al quale ha vinto la borsa di studio per entrare in accademia.
Mi ha parlato di quando è stato due anni in America, di quando ha incontrato Steve McCurry e di come quest'ultimo si fosse complimentato per gli scatti di Elijah.
È così entusiasta quando parla della fotografia, ha gli occhi di un sognatore e l'animo di un cercatore. È costantemente assetato di bellezza, di novità, di qualcosa che soddisfi il suo desiderio di compattezza.
Mi dice che non ama sentirsi dire che la perfezione non esiste, perché per lui la perfezione è nei dettagli. Non tutti sono capaci di coglierli e, quando succede, ne rimane affascinato.

Mentre mangiamo accendo la televisione cercando un film da guardare. Non ce ne sono molti e, quei pochi trasmessi, sono poco interessanti.

«Metti canale 13, dovrebbero trasmettere Jurassic World dopo il meteo.» Mi dice ed io digito i tasti sul telecomando.

-..probabilmente nelle prossime 48 ore. Le autorità locali e nazionali hanno concordato la chiusura dei confini cittadini in tutte le città del Regno Unito per i prossimi due giorni. La tempesta che sta per abbattersi probabilmente causerà danni ben maggiori a quelli previsti dai meteorologi. Concludiamo invitandovi a restare in casa e a non uscire fino a quando la tempesta sarà passata. Buona serata. -

«Accidenti, ma siamo seri?»

Elijah sbuffa poggiando la schiena alla sedia come rassegnato.

«Ci mancava solo questo», commento abbassando il volume della televisione.

Elijah sbuffa ancora afferrando il cellulare. Sta inviando messaggi a qualcuno, logicamente, per avvisare del prolungamento della sua permanenza.

Mi domando come ci si senta ad avere qualcuno che si preoccupa per te. A parte la mia famiglia, che raramente si fa presente, io in realtà non ho nessuno. Non ho amici, se non colleghi che ho visto, sì e no, una decina di volte all'accademia. Mi domando che tipo di rapporto avesse con Chrystal, se anche lui si sente soffocare quando non la vede per troppo tempo. Se anche lui andava in crisi ipotizzando che un giorno sarebbe realmente potuto finire tutto. Mi domando spesso se sono solo io ad avere questo atteggiamento, se ho qualcosa che non va, se veramente ne vale la pena restare.

«Oralee?»

Mi richiama portandomi con i piedi a terra. Non l'ho sentito, non ho capito cosa mi ha chiesto poiché ero persa nei pensieri. Faccio finta di averlo ascoltato ed annuisco semplicemente.
Lui corruga la fronte e posa il cellulare sul tavolo.

«Hai capito cos'ho detto?» mi guarda cercando di capire se lo sto realmente ascoltando.
Scuoto la testa e mi scuso per non aver prestato attenzione.

«Ho detto che mi dispiace infastidirti ancora, forse dovrei trovare un motel» dice ed io non posso fare altro che fermarlo.

«Non preoccuparti, puoi restare qui. Ti ho già detto che puoi prendere il letto.» Preciso mentre butto gli avanzi e il cartone nella pattumiera.

«Un giorno ti ripagherò per il disturbo», commenta aiutandomi nel ripulire.

Sorrido leggermente a ciò che ha detto. La cosa buffa è che pensa che mi stia disturbando, quando in realtà ho davvero bisogno di non stare da sola.

Questa sera, non so come, ma sono riuscita a convincere Elijah a dormire nel letto. Ormai sono abituata ad appisolarmi ed addormentarmi sulla poltrona, quindi per me non è stato un problema sistemarmi lì.

Quando i miei occhi si chiudono ormai è piena notte. Ma, come d'abitudine, il mio sonno è disturbato nei peggiori dei modi.
Quella scena si ripete ancora nella mia mente; le sue labbra screpolate e violacee ferme in un leggero sorriso, la mano attorno a quella bottiglia di vetro, nell'altra una sigaretta quasi del tutto consumata sta bruciando il tessuto del divano.
I suoi occhi guardano la televisione dall'altra parte della stanza, ma il monitor non trasmette canali.
C'è di tutto sparso sul tavolino ai piedi del divano, e vorrei solo poter buttare via quella roba e riprendermelo indietro.
Ora è accanto a me, ma è anche sul divano; non riesco a capire cosa stia succedendo. Mi accarezza lentamente la mano, poi traccia il braccio e arriva alla clavicola. Non riesco a sentirlo, è come se non mi stesse realmente toccando. Raccoglie la mia guancia nel palmo della sua mano, poi si avvicina lentamente a me.

«È colpa tua» mi sussurra mentre mi costringe a guardarlo inerme sul divano.

«No..», non è vero, non è colpa mia.

«Dovevi restarmi accanto, è colpa tua.»

«Non è vero»

«Mi hai lasciato andare, ora tocca a te...Oralee.»

Si allontana da me e raggiunge l'altro, sé stesso. Continua a sussurrare che è colpa mia.

«Smettila» lo supplico portando le mani sulle orecchie per non ascoltarlo. Ma lui continua a ripeterlo, e la sua voce si propaga e diventa più acuta. Continuo ad implorarlo di smetterla, ma lui non si ferma.

«Oralee!» 

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