Capitolo 44

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4 gennaio;

Provo a cercare un evidenziatore nuovo nel cassetto della mia stanza ma non ne trovo uno. A breve inizieranno di nuovo gli esami ed io ho intenzione di darne alcuni, così da riprendere pian piano il mio percorso accademico. Ieri e l'altro ieri sono stata con Elijah, ho dormito da lui e sento che la scusa di Lia non reggerà a lungo con mia madre.

Prendo il portafoglio e scendo al piano inferiore dove trovo mia madre intenta a piegare dei vestiti.

«Mamma vado a comprare un evidenziatore», la avviso infilando la giacca.

Lei mi saluta ed io esco di casa. Spero non piova, il cielo non promette niente di buono talmente è nuvoloso. Così mi affretto e non ci metto molto ad arrivare nel centro di Dalmwin. I negozi hanno riaperto oggi ma non sono affollati e fortunatamente riesco a prendere ciò che mi serve in cartoleria senza aspettare molto.

Mentre torno a casa passo davanti al Beachwood, dall'esterno riesco a scorgere James dietro al bancone. Decido di entrare per salutarlo, non ci sono molti clienti e vedo Richard servire un tavolo in fondo alla sala. Scorgo anche una bellissima testa riccioluta, china su un libro mentre annota delle cose.

«Guarda un po' chi si rivede.» Mi prende in giro James quando lo raggiungo dietro al bancone per salutarlo.

«Sono stata male», mi giustifico e lui mi dice che lo sa perché è stato mio padre a dirglielo.

«Quando hai intenzione di tornare a darmi una mano?»

«C'è Richard, no?»

«Lui non è Oralee, non posso prenderlo in giro come faccio con te.»

Rido alzando gli occhi al cielo, secondi dopo Richard si avvicina al bancone per posare delle tazze sporche. Quando mi vede, mi sorride e chiede come sto.

«Meglio, mi sa che sei stato tu a mischiarmi l'influenza» scherzo facendolo ridere.

«Allora il prossimo è James.» Risponde istigando il ragazzo accanto a me che, per tutta risposta, fa finta di spruzzare del detersivo verso di noi.

Prima di andare via, mi avvicino al tavolino numero otto a cui è seduto. Non alza lo sguardo dal libro, non mi nota talmente è concentrato. Ha ordinato un caffelatte, finalmente è riuscito a superare quell'ossessione per il decaffeinato.

«Cosa posso portarti?» Dico attirando la sua attenzione, lui alza lo sguardo di scatto appena riconosce la mia voce e subito un sorriso si apre sul suo volto mettendo il risalto la fossetta al lato della sua guancia.

«Che ci fai qui?» Chiede alzandosi per avvicinarsi a me e abbracciarmi.

«Sono andata a comprare degli evidenziatori e mi sono fermata a salutare i ragazzi.» Spiego sistemandogli i capelli arruffati.

«Sei venuta a piedi?» Annuisco guardandolo dare un'occhiata fuori, seguo il suo sguardo e mi accorgo che sta piovendo.

«Vuoi un passaggio?»

«Posso aspettare che finisca di piovere.» Lui alza gli occhi al cielo, raccoglie le sue cose e mi prende la mano per andare via.

«Quanto sei testardo», commento alzando la mano per salutare James e Richard.

«Sei tu ad esserlo», ribatte salutando solo James. Ha ancora astio nei confronti di Richard e vorrei dire qualcosa ma forse è meglio stare zitti.

Quando usciamo dalla caffetteria corriamo verso la sua macchina pur di non inzupparci con la pioggia. Entriamo in macchina ed io scoppio a ridere quando lo vedo imprecare tra sé e sé per essersi bagnato così tanto i capelli.

«A casa dovrò fare un'altra doccia, accidenti.» Sbuffa guardandomi sottecchi mentre cerco di trattenere una risata. «Tu smettila di ridere se non vuoi fartela a piedi.»

Alzo gli occhi al cielo e gli dico di partire. Minuti dopo siamo davanti casa dei miei genitori e, prima di uscire, mi dice che aspettare perché deve parlarmi.

«Che succede?» Lo guardo confusa mentre si toglie la cintura di sicurezza.

«Ti ricordi cosa ti ho detto qualche giorno fa? Quando ti ho proposto di andare di nuovo in terapia?»

«Sì, quindi?»

«C'è questo mio amico, Mitchell, che ha uno studio a Marlborough. Pensavo che, sempre se ti va, potrei accompagnarti da lui in questi giorni.»

Lo osservo in silenzio non sapendo che dire o cosa pensare. Gli ho già detto che lo avrei fatto, che mi sarei fatta aiutare e la mia decisione non è cambiata. Devo ancora dirlo ai miei, parlare con Keith e scusarmi per come l'ho trattata male mandandola via l'ultima volta che è stata dai nostri. Devo tornare a lavoro per guadagnare quanto basta per permettermi di frequentare l'accademia, che non ho intenzione di abbandonare di nuovo, e contemporaneamente pagare le sedute a cui Elijah vuole accompagnarmi. Devo parlare di Elijah con mia madre e devo pagare l'affitto a Mrs Ono. Accidenti, devo pagarlo l'affitto? Ho davvero intenzione di tornare in quella città?

«Oralee..» Elijah mi richiama riportandomi alla realtà. Appoggia la schiena al sedile sospirando e continuando a guardarmi preoccupato.

«Scusa, mi sono persa un attimo.» Mi scuso abbassando lo sguardo, lui allunga la mano e la intreccia alla mia come per incoraggiarmi. «Va bene, quando possiamo andarci?»

Lo stesso pomeriggio Elijah mi passa a prendere per andare a Marlborough. Mi ha detto che Mitchell è un ragazzo gentile e che ha aperto uno studio da un paio di anni. Nonostante stia cercando di tranquillizzarmi, non posso fare a meno di essere preoccupata. Dovrei esserci abituata, ci sono già passata, ma proprio per questo motivo so che sarà difficile aprirmi subito con lui. Sono poche le persone che mi trasmettono fiducia e sicurezza, Elijah è una di quelle ovviamente. Forse è per questo che non mi sono arrabbiata quando mi ha proposto di tornare in terapia. Lui vuole aiutarmi perché tiene a me, però è anche vero che lui non è uno psicologo, non posso rivolgermi sempre a Elijah quando sto male. Anche lui ha i suoi pensieri e le sue insicurezze.

Alla fine è vero, Mitchell si mostra davvero rassicurante e con una mente aperta. È un uomo sulla trentina, slanciato e dai capelli bruni, mossi che gli ricadono sulle spalle. A primo impatto, se non lo si conosce, non sembra affatto uno psicologo ma, piuttosto, un membro di qualche band alternative-rock.

Elijah resta fuori dallo studio e, prima che io possa seguire Mitchell nella stanza, mi lascia un bacio sulla fronte dicendomi che mi ama.

«Io di più», gli rispondo facendolo sorridere.

Lo studio è abbastanza grande e confortevole. Ci sono quadri appesi ai muri e una grossa libreria sulla sinistra. Davanti alla scrivania ci sono due sedie e una chaise longue in velluto color verde menta.

«Accomodati dove più preferisci.»

Annuisco e mi siedo su una delle sue sedie, lui dall'altra parte della scrivania. Mi sto torturando le dita, vorrei scrocchiarle ma non posso perché mi sentirei in imbarazzo per il rumore che andrei a causare.

«Sei già stata ad una seduta come questa?» Mi chiede scrivendo qualcosa su un foglio, rettifico: sta scrivendo il mio nome.

«Sì, sono andata in terapia un paio di anni fa.»

«Come mai hai smesso di andarci?»

«Non avevo soldi» arrossisco guardando la finestra dietro di lui pur di non incontrare il suo sguardo per la vergogna.

«Adesso ti farò firmare un modulo relativo al consenso informato. In pratica ci accordiamo affinché tutto ciò che emergerà nel corso delle sedute sarà totalmente un segreto professionale e ti assicuro che non sarà riferito ad estranei.» Mi informa, io sto zitta e lo lascio parlare anche se già so di cosa si tratta. Quando ho finito di compilare il modulo glielo restituisco e torno con la schiena incollata alla sedia.

«Ti va di parlarmi un po' di te?» 

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