Capitolo 18

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6 dicembre;

Sono ore che fisso il soffitto. È piena notte anzi, probabilmente tra un paio di ore sarà mattino, ed io non ho dormito. Sono quasi due settimane che queste pareti sono tornate ad ospitarmi ed io, come sempre, vorrei che crollassero. Volto la testa verso la finestra, la luna sta calando lasciando spazio ad una luce opposta che si espande minuto dopo minuto. Alzo il busto e caccio le gambe fuori dal letto. Muovo i piedi verso la poltrona e mi ci siedo portandomi le ginocchia al petto.

In questi ultimi giorni non ho fatto altro che pensarlo. Ogni cosa che facevo, era come la facessi perché chiesto da lui. Quando dipingo, quando mi sforzo a mangiare, quando provo a studiare, ricordo sempre e solo lui.

Promettimi di stare bene, mi ha detto l'ultima volta che ci siamo visti. Io ci sto provando, anche se questo non mi basta. Mi chiedo lui cosa stia facendo ora, dove si trovi e se, anche solo un po', sente la mia mancanza. Perché io ne sto risentendo, tanto. Troppe le volte in cui ho quasi ceduto alla tentazione di afferrare il cellulare ed inviargli un messaggio. Poi mi sono sempre frenata, immaginando quanto patetica sarei sembrata. Ventidue anni e non so badare a me stessa. Sono un totale fallimento, una collisione di sbagli e rimpianti che mi portano a tali conseguenze. Più vado avanti e più realizzo che non ne posso più di far finta che passerà, perché non è così.

Quando afferro il cellulare, non mi fermo un attimo a ripensare. Se lo facessi probabilmente scaglierei il telefono contro il muro e la finirei lì. Le dita scorrono veloci lungo i contatti. Lo trovo, clicco sopra e avvio la chiamata. Il cellulare squilla per non so quanto tempo.

- Sono le quattro del mattino e probabilmente starà dormendo. Forse sto sbagliando.- penso.

Trattengo il respiro quando sento un piccolo segnale acustico, solo che poi parte la segreteria telefonica. Ma non m'importa, decido lo stesso di lasciargli un messaggio. Se non lo facessi, quasi sicuramente, non gli scriverei neanche più.

La persona da lei chiamata non è al momento raggiungibile, la preghiamo di lasciare un messaggio dopo il segnale acustico.

«Ciao Elijah, sono Oralee scusa se ti disturbo. So che non mi faccio sentire da molto, solo che ho pensato che probabilmente sarai occupato a differenza mia. Non voglio infastidirti però, io davvero ho bisogno di qualcuno con cui parlare e tu sembri l'unico a volermi ascoltare. Se riesci, se vuoi, per favore richiamami.»

Quando attacco, blocco il telefono e lo lascio sul letto. Le mille paranoie che avevo, prima di lasciargli il messaggio, riaffiorano nella mia testa. Se non ho mai chiesto aiuto è perché odio mostrarmi così debole. Persino con il mio terapista ho impiegato tempo per aprirmi, ed è stato l'unico ad avere pazienza nell'aspettarmi. D'altronde è il suo lavoro. Solo che, con Elijah, è così diverso. Non ho bisogno di dirgli come mi sento, perché lui automaticamente percepisce che qualcosa non va e non osa andare oltre costringendomi a parlare.

Da quando Seth mi ha lasciato ho iniziato a credere di aver paura di mettere il mio cuore nelle mani di qualcun altro, quando in realtà ho solo paura di essere ferita ancora. Ed Elijah me lo sta facendo capire, mi sta dimostrando che, solo perché una volta è finita male, non vuol dire che sarà lo stesso anche la prossima. Ho passato gli ultimi mesi a chiedermi cosa ci fosse di così sbagliato in me, cos'avessi fatto per meritarmi questo tormento. Sono vittima innocente di un omicida che si è finto martire per coprire la propria ombra.

Ho bisogno di qualcuno che scagioni la mia condanna, che mi prenda per mano e mi stia accanto.

Passano le ore, le lancette dell'orologio hanno fatto il giro completo per sei volte, e di lui non c'è traccia. Se gli avessi scritto un messaggio, almeno avrei saputo se l'avesse visualizzato. Devo arrendermi, è inutile aspettare ancora. Se vorrà o potrà, si farà vivo. Forse se l'è presa, considerando che sono due settimane che non ci sentiamo e non ho avuto neanche la briga di chiedere come sta.

Muovo i piedi verso il bagno e decido di farmi una doccia. Devo lavare via il torpore della sonnolenza o non riuscirò a concludere nulla neanche oggi. Non impiego molto e, quando ho finito e mi sono asciugata, torno in camera prendendo dei vestiti da indossare. Mi forzo a sistemare casa anche se comunque non c'è molto da fare. Quando non vedo nient'altro fuori posto mi siedo alla scrivania e provo a terminare un altro capitolo di arte greca. Ma è inutile, la pittura vascolare greca è l'ultima cosa ad occupare la mia mente. Non faccio che guardare il cellulare e non riesco neanche a spegnerlo per non distrarmi. Torno a leggere il libro e, nell'esatto momento in cui lo faccio, lo schermo del mio cellulare inizia a lampeggiare. Prendo l'oggetto tra le mani e lo sblocco velocemente. Ma la smania svanisce quando noto che è Keith ad avermi scritto. Sospiro poggiando la testa sulla mano e chiudendo gli occhi. Sono solo un'ingenua.


Che fai?

Sto studiando

Quando posso chiamarti?


Prendo un respiro e decido di chiamarla.

«Keith, che succede?», le chiedo quando mi risponde.

«Indovina», ride dall'altra parte del telefono.

«Non ho una sfera magica, che c'è?»

«Sono incinta», esclama entusiasta mentre io schiudo la bocca attonita dalla notizia.

«Sul serio?»

«Sì! Non l'ho ancora detto a mamma e papà», continua e sono sicura, dal tono che sta usando, che sul suo volto c'è un sorriso decisamente ampio.

«Sono felice per voi, Keith. Mamma salterà dalla gioia», dico convinta e lei mi dice che non vede l'ora di vedere la sua reazione.

Mi dice che tra un mese avrà la seconda ecografia e che non vede l'ora di scoprire il sesso del bambino.

«Questo Natale ci sarai?» Chiede ed io le rispondo che non ne sono sicura. «È tanto che non lo passi con noi, sarebbe bello se tu venissi.» Continua cercando di convincermi.

«Non lo so, Keith. È presto, poi vedrò se riuscirò a venire.»

In quel momento il campanello di casa suona distraendomi dalla chiamata.

«Keith, hanno bussato alla porta e probabilmente è la padrona di casa che è venuta per prendere l'affitto. Ci sentiamo okay?»

«Certo, fatti sentire più spesso. Ti voglio bene», dice comprensiva.

«Anch'io te ne voglio.»

Quando attacco alla chiamata il campanello suona di nuovo. Sono sicura che è Mrs Ono a bussare, impaziente di ritirare l'affitto e di rinfacciarmi che anche questo mese sono in ritardo. Apro il cassetto della scrivania, afferro la busta in cui conservo i soldi e prendo quanto basta per pagare. Mi alzo dalla sedia e, con le chiavi tra le mani mi avvicino alla porta. Solo che, quando apro la porta di casa, davanti a me non c'è chi mi aspettavo di trovare.

«Elijah», guardo il ragazzo davanti a me che se ne sta con le braccia lungo i fianchi. Non aspetto neanche che risponda, che mi butto tra le sue braccia. Lui mi stringe a sé e porta una mano tra i miei capelli.

«Avevi detto di aver bisogno di me. Forse anch'io ho bisogno di te.» 

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