Capitolo 26

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17 dicembre;

La depressione non è qualcosa che controlli, qualcosa che puoi tenere a bada. I farmaci possono essere d'aiuto, se vuoi annebbiarti la mente, ed io ho smesso di prenderli da un anno a questa parte. Non me ne pento. Anche Matthew se ne rese conto; mi disse di smettere di farne uso perché non mi stavano aiutando.

- Non hai bisogno di pillole, ora come ora. Hai bisogno di allontanarti da qui perché è questo posto a farti del male. - mi disse l'ultima volta che ci siamo visti. A parte i problemi economici, questo è uno dei motivi per cui ho smesso di andare in terapia. Voleva che mi allontanassi da St David's, io no.

Cammino per il corridoio a passo lento. È piena notte e mi sento terribilmente stanca ma il mio cervello non vuole saperne di spegnersi. Ho così tanti pensieri per la testa; i miei genitori, Keith, l'accademia, l'appartamento vuoto a St David's, Seth. Forse è più il pensiero di quest'ultimo a torturarmi. È la costante paura che possa presentarsi da un momento all'altro, ancora di più ora che mi sento di nuovo così volubile e debole.

Mi detesto così immensamente perché non riesco a metterlo da parte quando ho qualcosa, qualcuno di più importante a cui dare attenzioni. Mi sento così egoista perché quando penso a Elijah, inevitabilmente il pensiero scivola su Seth. Ma quando penso a Seth, niente e nessuno riaffiora in mente.

Non pensavo sarebbe successo di nuovo. Non pensavo che mi sarei sentita così anche stando tutto il tempo con lui. Ho la nausea ma non perché ho bisogno di rimettere, è il vuoto che ho dentro che mi tormenta, mi ricorda ogni singolo instante che probabilmente questo è il mio destino. Non riesco a provare nulla, se non sensazioni vacanti. Io ci provo a rasserenarmi, lo giuro, ma io non ci riesco perché sono consapevole che, quella serenità, è solo momentanea. Cerco di non pensare all'affanno che mi porto dentro ma, appena mi distraggo per un attimo da ciò che mi tiene occupata, è in quel momento che sprofondo di nuovo. Sto avendo di nuovo gli incubi, quest'ultima settimana non ho chiuso occhio. Elijah ha notato che c'è qualcosa che non va, lo capisce dal mio atteggiamento prevenuto e dal fatto che, ogni volta che torna da lavoro, mi trova nel letto priva di forze. Ha capito che sto male, di nuovo, perché ogni notte mi sente chiamare Seth nel sonno ed io, quando mi sveglio, non ho il coraggio di dirgli la verità. Non mi chiede nulla, però, cercando solo di distrarmi e di farmi restare quanto meno tempo da sola.

Porto le ginocchia al petto quando mi siedo sulla poltrona. Non voglio svegliare Elijah, oggi è tornato particolarmente stanco da lavoro e non voglio farlo preoccupare per qualcosa che non gli riguarda.
È piena notte, saranno le tre e fuori è tutto così terribilmente tranquillo.
Ho sempre cercato il rumore, il frastuono, il chiasso sperando che quello esterno fosse più alto di quello interiore. Ecco perché chiedo sempre ad Elijah di suonare per me. Riesce a distrarmi, alleggerendomi la mente. Porto una mano al petto massaggiandolo, provando a colmare questa morsa che mi soffoca e mi stritola. Sto singhiozzando, cercando un po' di aria tra le lacrime che scorrono lungo le mie guance. Il dolore psicologico può essere così devastante da far male fisicamente, rendendoti debole in ogni aspetto.

Vorrei tornare indietro e cambiare tutto, ripensare una seconda volta a decisioni che mi hanno rovinato per sempre. Vorrei non aver mai incontrato Seth, o magari riuscire a dimenticare quello che gli ho fatto, quello che dice che gli ho fatto, proprio come sto dimenticando il suo viso. Ricordo solo i suoi occhi, azzurri e freddi che mi fissano come mi fissavano quella sera.

La luce del salone viene accesa così improvvisamente che i miei occhi si chiudono istintivamente. Elijah si è svegliato ed era l'ultima cosa che avrei voluto accadesse.

«Oralee, che succede?» Cammina svelto verso me. Ha lo sguardo assonnato e preoccupato quando si abbassa alla mia altezza.

Mi prende il viso tra le mani, non ha bisogno che parli perché evidentemente lo stato in cui sono parla da sé. Mi costringe ad alzarmi, ma non me ho quasi le forze infatti per poco non cado all'indietro.
È visibilmente allarmato ed io non riesco a smettere di piangere. Prende il mio posto sulla poltrona, facendomi sedere sulle sue gambe e poggiare la testa sul suo petto. Mi abbraccia a sé come se avesse paura di perdermi, la sua stretta è decisa mentre mi bacia la fronte.

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