Capitolo 43

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2 gennaio;

Mi sveglio completamente sudata e senza Elijah al mio fianco. Ieri sera devo essermi addormentata perché non ricordo di averlo visto andare via. Mi alzo dal letto e misuro la febbre; fortunatamente è scesa così prendo dei vestiti puliti e vado a fare una doccia. Quando ho finito e ho asciugato anche i capelli, esco dal bagno e provo a sistemare un po' la mia stanza. Apro la finestra e cambio le lenzuola al letto poi, quando ho finito, prendo il cellulare e scendo giù in cucina. Sono le dieci del mattino, i miei genitori sono andati a lavoro e mi hanno lasciato un bigliettino per dirmi che torneranno entrambi stasera.

Decido di prepararmi del latte e, mentre lo faccio, mi arriva una chiamata. È Elijah.

«Pronto?»

«Buongiorno dormigliona», ha la voce roca, probabilmente si è appena svegliato.

«Buongiorno»

«Come ti senti?»

«Meglio, non ho la febbre» dico versando il latte caldo nella tazza.

«Ieri sera ti sei addormentata e non volevo svegliarti», spiega facendo riferimento al fatto di non avermi avvisato che sarebbe andato via.

«Sì, l'ho capito.»

«Sei arrabbiata?»

«No, perché?»

«Non lo so», sospira ed io posso immaginarlo qui, davanti a me, mentre si pizzica il labbro o si passa una mano tra i capelli.

«Oggi lavori?»

«No, la palestra riapre a metà gennaio.»

«Così tardi?»

«Stanno facendo dei lavori.»

«Ah» annuisco anche se non può vedermi. Mi chiede se può passarmi a prendere, gli dico di sì. Una ventina di minuti dopo sono nella sua macchina, con la sua mano sulla mia coscia e la mia fuori dal finestrino.

Arrivati nel suo appartamento mi tolgo le scarpe e, come sempre, le lascio all'entrata vicino alle sue. Ha rimasto il riscaldamento acceso fortunatamente, quindi si sta bene anche a maniche corte.

«Mi dai una tua maglia?» Gli chiedo guardandolo posare le chiavi sul mobile.

«Certo.»

Lo seguo in camera sua e, quando mi porge una t-shirt bianca, mi giro dandogli le spalle per sfilare la mia felpa. Sono costretta a fermarmi quando sento il suo respiro sul mio collo e le sue labbra lasciarmi baci umidi sulla spalla. Mi cinge i fianchi da dietro, accarezzandomi il ventre e facendo salire la mano sul mio seno nudo. Chiudo gli occhi e stringo il labbro forte tra i denti pur di non gemere sotto il suo tocco.

«Girati», faccio ciò che mi dice arrossendo quando il suo sguardo cade sul mio seno. Abbiamo già fatto l'amore, già mi ha vista nuda, però non è mai capitato che mi osservasse così, senza malizia o senza aver fatto prima sesso.

Punta gli occhi nei miei, rimanendo con una mano sul mio fianco e l'altra sul mio collo. Sorrido pensando a quanto mi sia mancato il suo tocco e il suo respiro su di me, tutto va oltre la semplice attrazione sessuale. Sporge la testa verso di me e mi bacia, finalmente, dopo cinque interminabili giorni. Vorrei dirgli di non farlo, potrei mischiargli l'influenza, ma non ci riesco. La sua bocca si muove in sincronia con la mia, le mie mani sul suo viso e le sue sulla mia schiena che mi spingono e trattengono al suo petto.

«Sei così bella, non riesco neanche io a spiegarmelo.» Si stacca di poco per guardarmi ancora.

Ascolto attentamente ogni parola che dice, guardandolo parlare. Osservo come le sue labbra scolpiscono ogni parola e come pronuncia tutte le sue sillabe. Guardo i suoi occhi che luccicano nei miei, e le sue labbra mentre le unisce ancora alle mie tirandomi più vicino. Chiudo gli occhi mentre Elijah appoggia la fronte contro la mia, cogliendo l'intimità del momento. È così vicino a me che posso sentire le sue ciglia solleticare contro la mia pelle. Così vicino che posso sentire ogni respiro, ogni soffio che lasciano le sue labbra rosee.

Porto la mano sulla sua mascella e appoggio il pollice sulla sua curva, facendo scorrere le dita tra i suoi capelli mentre catturo il suo labbro inferiore tra le mie labbra. E, Dio, è così bello. Le sue labbra sono così morbide contro le mie screpolate, la sua pelle è calda e liscia.

Il cellulare squilla interrompendo quel momento, il nostro momento, causando un lamento da parte di Elijah che si stacca da me riluttante. Si allontana per prendere il cellulare sul cassetto accanto al letto, io ne approfitto e infilo la maglia sotto lo sguardo di Elijah.

Sta parlando con Zayer, se non ricordo male è uno degli amici che mi ha presentato alla festa di William solo che non riesco a collegarne un volto. Elijah si avvicina a me, ancora al telefono, e mi cinge le spalle con il braccio libero.

«Certo che ci sarò, che domande fai?» Sorride lasciandomi un bacio tra i capelli. Poggio la testa sulla sua spalla e continuo ad ascoltare la sua voce, che vibra sul suo petto mentre parla e ride con l'amico.

«Va bene, ciao.» Attacca e posa di nuovo il cellulare dov'era prima che squillasse.

«Ricordami chi è Zayer», gli chiedo mentre andiamo in salotto.

«Quello bruno, che aveva il completo grigio alla festa.» Spiega e subito ricordo di lui.

«Quello con il tatuaggio sulla testa?»

«Sì, esatto», ride sistemando dei libri che ha rimasto sul pianoforte.

«Dove andrete?» Chiedo sedendomi sullo sgabello del pianoforte e toccando tasti a caso, sono davvero una frana.

«Il dodici andremo al suo compleanno», spiega indicando se stesso e me.

«Tu inviti sempre gente a caso quando devi andare alle feste?» Rido guardandolo sedersi accanto a me.

«Tu non sei gente a caso, poi mi hanno obbligato a invitarti.»

«Sul serio?»

«Sì, Nathaniel e William ti adorano in pratica.» Sorride guardandomi arrossire; sono felice di piacere ai suoi amici, mi sento tipo accettata, se ha senso ciò che dico.

«Festeggerà anche lui a Swindon?» Lui scuote la testa e mi scosta i capelli dalla spalla.

«No, a Londra.»

«Londra?» Spalanco gli occhi guardandolo annuire. Londra, ci sono stata una sola volta quando ero piccola e quasi non la ricordo più.

«Dopodomani devo tornarci perché devo dare un esame. Pensavo che potresti venire con me.»

«Con te?» Lo guardo incerta spostando poi lo sguardo sulla tastiera del pianoforte.

«Se non vuoi, non fa niente.» Continua a guardarmi, anche se so che c'è un briciolo di bugia nelle sue parole.

«Non è questo..»

«Cosa c'è allora?»

«È che, alcune volte, sembra che tu mi faccia da babysitter. Mi sento in colpa perché è come se ti sentissi sempre in obbligo nel portarmi con te o trascinarmi dietro in ogni posto in cui vai.»

«Che cosa stai dicendo?» Sbotta confuso, ma non è arrabbiato. «Mi piace stare con te, non ci trovo nulla di male.»

«Però non sentirti in obbligo nel dovermi portare con te solo perché hai le tue insicurezze.» Lui sospira appena capisce che mi sto riferendo alla conversazione che abbiamo avuto ieri.

«Voglio che tu venga con me perché ti amo e amo vederti accanto a me ogni volta. Se però non te la senti di seguirmi, allora sei libera di non farlo.»

«Va bene», annuisco guardandolo.

«Va bene nel senso che verrai con me?» Alza le sopracciglia aspettando una mia risposta. Annuisco di nuovo facendolo sorridere.

Si sporge verso di me e mi lascia un bacio a stampo, poi un altro e un altro ancora, finché non si fa più intenso e mi costringe a mettermi a cavalcioni su di lui.

«Un'altra cosa...» sussurra baciandomi il collo con le mie mani tra i suoi riccioli.

«Cosa?» Chiudo gli occhi affondando con il viso sull'incavo del suo collo, trattenendo il respiro quando lo sento insistere poco sopra la spalla.

«Chi ti ha detto di indossare la maglietta?» 

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