Capitolo 29

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21 dicembre;

Il giorno successivo va decisamente meglio. È il buongiorno nel messaggio di Elijah a farmi iniziare con il piede giusto e non vedo l'ora di vederlo entrare in caffetteria. Oggi si presenta più tardi del solito e, quando varca l'entrata, non posso fare a meno di sorridergli. Indossa dei pantaloni aderenti neri come gli stivaletti che porta ai piedi, un maglione beige ed un cappotto blu. C'è un fascino nella sua semplicità che non riuscirò mai a spiegarmi. Viene dritto verso di me, sorridendomi e quando è abbastanza vicino mi lascia un bacio sulla guancia.

«Buongiorno impicciona.»

«Buongiorno idiota, o ggi sei in ritardo.»

«La sveglia non ha suonato ed io ero troppo stanco.» Spiega ed io annuisco.

Saluta James, che è come sempre occupato dietro al bancone, poi va a sedersi. Questa volta non vado a prendere il suo ordine perché so con certezza cosa prenderà. Così decido di scegliere io cosa fargli bere, chiedendo a James di preparare un caffellatte. Quando è pronto, metto la tazza sul vassoio e glielo porto. Quando gli porgo la tazza ha il viso corrucciato, poi capisce che l'ho fatto apposta e scoppia a ridere.

«Per questa volta non dico nulla», sorride afferrando la bevanda.

«Non devi dire nulla, infatti. Il caffè fa invecchiare e al mio fianco non voglio un'ottantenne.»

«Ancora con quella storia dell'ottantenne?» Scuote la testa divertito.

«Te lo rinfaccerò a vita.»

Gli sorrido e vorrei tanto baciarlo in questo momento solo che il Beachwood non è il posto adatto per farlo. Mio padre potrebbe presentarsi da un momento all'altro o qualche conoscente potrebbe vederci e mettere idiozie in giro.

«Stai bene?» Mi chiede d'un tratto ed io annuisco lentamente. Elijah sospira poi riprende a parlare. «A che ora finisci?»

«Per le due, devo sostituire l'altro cameriere che ha preso l'influenza.»

«Ti passo a prendere io.»

«Va bene.»

Quando lascia la caffetteria sono le undici in punto. La giornata prosegue tranquillamente e, come ieri, ci sono pochi clienti da servire. Se mio padre non avesse deciso di estendere la catena, probabilmente in questo momento sarebbe in crisi talmente è basso il guadagno in inverno. La neve non ha smesso di cadere e ciò non mi dispiace perché non c'è nulla di più natalizio del vedere le strade innevate e sentire la pelle battere contro il freddo delle basse temperature. Quando sono le due Elijah mi invia un messaggio dicendomi che è fuori ad aspettarmi. Saluto James e, una volta infilato il cappotto, esco dirigendomi verso la vettura. Apro la portiera ed entro salutando il ricciolo che mi sorride. Mi sporgo verso di lui e gli lascio un bacio a fior di labbra.

«Com'è andata?»

«Normale», alzo le spalle mettendomi la cintura. Minuti più tardi siamo nel suo appartamento. Appena entriamo mi tolgo le scarpe e chiedo ad Elijah se posso fare una doccia.

«Certo, nel cassetto a destra in camera da letto ci sono alcune cose che hai dimenticato di prendere l'ultima volta.»

«Va bene.»

Quando entro in camera mi avvicino al cassetto e lo apro. Mi accorgo che, oltre alla felpa e a dei pantaloni della tuta, ho dimenticato anche delle mutandine. Il mio viso va in fiamme e, anche se sono sola, mi copro il viso maledicendomi per non aver prestato attenzione. Afferro quelle cose e, prima che Elijah possa raggiungermi in stanza, mi chiudo in bagno. Mi tolgo la divisa, entro velocemente in doccia e, quando ho finito una decina di minuti dopo, esco e mi asciugo. Infilo i vestiti puliti e metto la divisa nella lavatrice. Ad Elijah non dispiacerà, quindi non ci penso più di tanto.

Quando torno in salotto, Elijah è al telefono seduto su una poltrona. Probabilmente sta parlando con qualche suo amico perché il tono che usa è decisamente confidenziale. Quando mi vede mi fa cenno di avvicinarmi, così faccio. Mi siedo sulle sue gambe e lui mi cinge i fianchi con il braccio libero.

«Leon devo andare, ci sentiamo domani e mi fai sapere.»

«Certo, ciao Elijah.» Riesco a sentire dall'altra parte del telefono. Quando attacca, posa il cellulare e mi abbraccia baciandomi il collo.

«Leon è un tuo amico?» Chiedo chiudendo gli occhi sotto il suo tocco.

«Sì, mi ha chiamato per il regalo di William», spiega ed io corrugo la fronte.

«William è l'amico che ha organizzato la festa a Swindon?»

«Sì, festeggia gli anni e dobbiamo ritirare il regalo.»

«Cosa gli avete regalato?»

«Una chitarra», annuisco e quasi mi sento in imbarazzo nel chiedere se posso partecipare al regalo.

«Posso mettere anche la mia parte, se non è un problema.»

«Non lo pensare neanche, sei la mia ragazza quindi quello che metto io vale per due.»

Il mio cuore sembra decelerare e, nonostante non riesca a vedermi, nascondo lo stesso il mio ampio sorriso sulla sua spalla. Sono la sua ragazza, mi fa impazzire la semplicità con cui l'ha detto.

«Mi dai un bacio?»

Sorrido spostandomi dalla sua spalla per guardarlo, poi scuoto la testa negando la sua richiesta. Corruga la fronte e, con un ghigno sul viso, mi afferra le guance e mi costringe a baciarlo. Scoppio a ridere sulle sue labbra, mentre mi morde il labbro inferiore e mi solletica i fianchi.

«Mi sei mancata», mi bacia ancora infilando le mani sotto al tessuto della mia felpa, accarezzandomi la schiena.

«Me lo dici sempre», sposto i suoi capelli all'indietro per guardare meglio il suo viso.

«Ti dà fastidio?»

«No, mi piace.»

Gli lascio un bacio sulle labbra mentre sento ancora le sue mani calde sulla mia schiena che salgono lentamente, arrivando poco sotto le spalle. Le sue labbra si schiudono e i suoi occhi bruciano nei miei quando il suo pollice finisce sui lati del mio seno, accorgendosi che non porto il reggiseno. Mi irrigidisco immediatamente, lui lo nota e immediatamente sfila le mani da sotto al mio maglione.

«Scusa», dico imbarazzata per il mio gesto.

«Scusami tu, non volevo metterti a disagio.»

Annuisco guardando il suo sguardo quasi a disagio, così mi avvicino di nuovo e gli stampo un bacio come per dirgli che è tutto okay.

«Mi suoni qualcosa?»

È quasi sera quando torno a casa.

«Oralee?» Mia madre sbuca dalla cucina con uno straccio tra le mani.

«Ciao», la saluto togliendomi il cappotto.

«Dove sei stata? Tuo padre è passato in caffetteria quando non ti ha visto tornare.» La sua fronte è corrugata mentre indaga su di me. Mi mordo la lingua e cerco di trovare una scusa plausibile.

«In caffetteria ho incontrato una mia compagna di corso e abbiamo passato il pomeriggio insieme.»

«Ah, come si chiama?»

«Lia», mento e non so neanche da dove mi sia uscito questo nome.

La nostra attenzione però è catturata da mio padre che esce dal salotto con un libro tra le mani.

«Kelley, nostra figlia ha ventidue anni. Lasciala in pace.»

Sorrido leggermente mio padre che, inconsapevolmente, mi ha tirato fuori da quella situazione. Mia madre alza gli occhi al cielo e mi chiede se almeno ho cenato. Le rispondo di sì e che sarei andata direttamente a dormire. Elijah mi ha letteralmente costretto a cenare con lui perché voleva farmi assaggiare un nuovo piatto vegetariano che ha trovato su internet. Era buono, l'unico problema era la quantità esagerata presente nel mio piatto. Tutta opera del mio ragazzo, ovviamente.

-Il mio ragazzo - Penso e sorrido ricordando che stiamo davvero insieme. Non riesco ad assimilarlo, è così strano e bello. Questi mesi sono passati così velocemente che, alcune volte, mi chiedo come e quando diavolo è iniziato tutto questo.
Ma di una cosa sono certa, sono più che sicura di non volere che tutto questo finisca. 

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