Capitolo 27

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18 dicembre;

«Sei proprio sicura di voler andare?» Mi chiede ancora mentre finisco di sistemare le mie cose nello zaino.

Ho deciso di andare dai miei, almeno cercherò di distrarmi lavorando al Beachwood ed eviterò di influenzare Elijah con il mio cattivo umore. Annuisco guardandolo con le braccia incrociate poggiato allo stipite della porta. Vorrebbe che restassi con lui, ma non posso.

«Ci vedremo in caffetteria, no?» Mi avvicino fermandomi a pochi passi da lui.

«Non è la stessa cosa», precisa sbuffando e passandosi una mano sul viso. Poi si allontana dalla porta per venirmi ad abbracciare, mi circonda le spalle con le braccia facendomi cingere le mie intorno al suo busto.

«Mi mancherà averti tra i piedi», nasconde il viso tra il mio collo e i capelli solleticandomi leggermente con la punta del naso.

«Il sabato o la domenica troverò qualche scusa per venire ad infastidirti.» Gli prometto, lui alza la testa, sbuffa ancora, si abbassa di nuovo alla mia altezza e mi bacia. Rido sulle sue labbra facendogli alzare gli occhi al cielo.

«Il 23 un mio amico ha organizzato una festa vicino Swindon, ti va di andarci?»

«Non lo so, Elijah. L'ultima volta che sono andata ad una festa avevo diciotto anni, credo. Poi mi sentirei a disagio, circondata da gente che non conosco.» Dico incerta scuotendo la testa.

«Staremo insieme, almeno. La vigilia e il 31 sarò ad Holmes Chapel e non potremo vederci.» Spiega provando a convincermi.

«Cosa devi fare ad Holmes Chapel?»

«Ci vivono i miei genitori.»

Sospiro guardandolo. Non vorrei andare a quella festa, ma almeno trascorrerei la serata con lui. Forse sarà divertente, potrebbe distrarmi e farmi sentire come una normale ventiduenne.

«Va bene», mi arrendo.

Elijah sorride, mi abbraccia e mi stampa un bacio sulla bocca. Un attimo dopo mi butta di peso sul letto e inizia farmi il solletico, io scoppio a ridere e gli dico di finirla.

Ieri gli ho raccontato di Seth e onestamente la sua reazione è stata inaspettata. Pensavo si sarebbe tirato indietro, ma non è stato così e gliene sono grata. Dopo aver parlato siamo rimasti tutta la giornata a letto e lui non è neanche andato a lavoro.

Ha preferito restare con me, mi ha suonato un altro brano al pianoforte, abbiamo ordinato la pizza e ci siamo addormentati abbracciati. Fa così tanto per me che certe volte mi perdo nel pensare a come potrei ripagare tutto il suo affetto. Semplicemente non posso, perché non sarebbe abbastanza.

È tarda sera quando Elijah parcheggia la macchina a poche case da quella della mia famiglia. Non voglio che scoprano di me e lui, qualsiasi cosa siamo, e non lo vuole neanche lui. Abbiamo bisogno di tempo per conoscerci e, se le nostre famiglie lo sapessero, non farebbero altro che metterci pressione.

«Voglio che tu mi chiami se ne hai bisogno, anche se è piena notte e non riesci a dormire.» Mi dice spegnendo la macchina, io annuisco semplicemente.

Elijah sospira, quasi rassegnato, si sporge verso di me e mi bacia. Le sue mani finiscono tra i miei capelli, attirandomi verso di sé. Schiudo la bocca quando sento la sua lingua passare sul mio labbro, lasciando che si incontrino bisognose. È come se, con questo bacio, stesse cercando una sicurezza, qualcosa che gli assicuri che domani ci rivedremo. Si stacca per primo, così apro gli occhi volendo incontrare il suo sguardo. Cosa che non succede perché torna a poggiare la schiena al sedile e gira la chiave nel blocchetto d'accensione. Resto a guardarlo smarrita, si sta comportando in modo strano, ma a turbarmi è la sua espressione quasi infastidita.

«Elijah..»

«Oralee è meglio che tu vada.»

Serro le labbra incapace di dire altro, allungo la mano verso i sedili posteriori afferrando lo zaino ed esco dalla macchina sbattendo la portiera. Cammino verso casa, aspettandomi di sentirlo scendere dalla macchina, ma non è così. La sua macchina mi passa accanto, velocemente, ed io lo vedo sparire alla fine della strada. Mi chiedo cos'altro ho fatto di sbagliato.

Quando busso alla porta di casa mio padre mi accoglie con un'espressione sorpresa.

«Oralee», resta fermo sulla soglia di casa.

«Posso entrare, papà?»

Mi guarda per ancora qualche secondo, poi annuisce velocemente dopo essersi ripreso da quello stato di trance e mi lascia entrare.

«Collin, chi è a quest'ora?» Sento mia madre parlare dalla cucina. Quando sbuca da essa, un sorriso ampio si apre sul suo volto venendomi in contro per abbracciarmi.

«Oralee, che bello vederti», esclama stringendomi a sé. «Non mi aspettavo venissi e neanche con una settimana di anticipo.»

«Non avevo nulla da fare a St David's, spero non sia un problema.» Mi tolgo la giacca sistemandola sull'appendiabiti.

«Quale problema? Questa è pur sempre casa tua.»

Papà mi chiede se voglio che mi prepari qualcosa da mangiare ma io nego dicendo che ho già cenato. Prima che mi facciano altre domande, mi congedo dicendo che sono stanca, raggiungendo poi camera mia.

Non riesco a smettere di pensare all'atteggiamento di Elijah, è stato così distante e sento che qualcosa non va. Spero solo che non dipenda dal fatto che io gli abbia parlato di Seth e di tutto il resto, altrimenti non saprei cosa fare.



19 dicembre;

La notte riesco a dormire, nonostante mi sia svegliata un paio di volte un po' agitata. Quando mi sveglio, il mattino seguente, sistemo la stanza e infilo una tuta per scendere a fare colazione. I miei genitori sono seduti a tavola, mentre chiacchierano e bevono del caffè.

«Buongiorno», li saluto entrando in cucina e dirigendomi verso il frigo.

«Buongiorno tesoro.»

Verso del latte nel pentolino e lo lascio sul fornello a riscaldare. Sento lo sguardo dei miei genitori su di me mentre verso il latte in una tazza. So per certo che vogliono farmi mille domande, forse è più mia madre quella ad essere curiosa. Quando mi siedo a tavola, alzo lo sguardo per incontrare quello di mio padre.

«Papà stavo pensando che, finché sono qui, potrei tornare a dare una mano in caffetteria», la mia voce esce più incerta del dovuto.

«Certo, potresti anche fare metà giornata e il weekend lasciarlo libero. Ho assunto un ragazzo, quindi non c'è poi così tanta necessità.» Mi informa continuando a bere il suo caffè.

Annuisco e, involontariamente, sposto lo sguardo verso mia madre. Vorrei dirle che mi dispiace averla trattata in quel modo, con così tanta sufficienza, ma non riesco a trovare le parole adatte. Mezz'ora più tardi i miei genitori escono di casa per andare a lavoro, lasciandomi da sola.

Passo la maggior parte della giornata aspettando una sua chiamata o un suo messaggio, ma inutilmente. Escludo che sia particolarmente impegnato, ormai conosco la sua routine e la sua mattinata la passa sempre a studiare. Un'ulteriore conferma è anche il suo ultimo accesso, il fatto che sia online la maggior parte del tempo mi stizza incredibilmente. Neanche un buongiorno, uno stupido saluto, niente di niente. Ma non sarò io a cercarlo, è lui a doverlo fare. 

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