L'avverbio è quella parte di discorso che tutti accolgono con lo stesso entusiasmo della peste bubbonica. Non esiste libro, corso di scrittura, approfondimento sullo stile che non dica quanto si debba fare attenzione all'uso inverecondo di tal mezzo.
Siccome però, neanche il diavolo è brutto come lo si dipinge, è d'uopo entrare nel merito.
Definizione:
In grammatica, l'avverbio è una parte invariabile che serve a modificare il significato delle parole (verbi, aggettivi, altri avverbi o intere proposizioni) a cui si affianca.
Un'espressione formata da più parole che abbia la funzione di un avverbio (di sempre, in fondo, alla carlona, di certo, in su, in un batter d'occhio, da quando, ecc.) è detta "locuzione avverbiale". (cit. Wikipedia)
L'avverbio serve, dunque, a modificare il significato della frase/parola. La vera questione, quella spinosa, è capire quando è davvero necessario modificarlo e quando invece è solo un vezzo per pettinare l'ego dell'autore.
Piccola precisazione: esistono vari tipi avverbi (modo, tempo, luogo, quantità, valutazione, interrogativi, esclamativi, ecc.). Quelli più scivolosi sono, di solito, gli avverbi di modo che sono l'equivalente avverbiale degli aggettivi qualificativi. Sarà un caso? Io non credo. [Inserisci risata satanica]
1. I -mente
Partiamo dai bersagliatissimi avverbi in -mente, che creano sempre, laddove sparsi come il parmigiano sulle zucchine, quel certo effetto cacofonico, modalità unghie sulla lavagna. Sono da evitare come la peste? No. Avrete ormai capito in tutti questi deliri pseudo grammaticali, che nulla è da evitare come la peste, per partito preso, ma ogni elemento va posizionato con cognizione di causa. Il problema è appunto conoscerla, questa benedetta causa, porco becco.
Prendiamo un esempio, anzi due:
1. Stava ricamando meccanicamente l'orlo di una tovaglia.
Il problema qui è che meccanicamente rappresenta una scorciatoia banale per veicolare un complemento di modo, appiattendo la comunicazione con una parola poco incisiva. Viene usato un avverbio, invece di descrivere l'azione da dentro, con effetto moscio a mille.
Stava ricamando. Le mani andavano su e giù come un martello. Su e giù, sempre nello stesso punto; l'ago come un proiettole perforava la tovaglia portandosi il filo dietro come una scia; i movimenti ripetuti come in loop.
Questo, forse non è granchè come esempio, ma svolge (nel senso di srotolare) tutto il mondo di significato che era tappato in quel misero meccanicamente, offrendo una sequenza di azioni, dettagli, qualcosa di definito a cui attaccare l'immaginazione.
2. Entrarono, tutte vestite rigorosamente in Chanel. Del resto non avrebbero potuto presentarsi a un'asta di beneficienza con abiti dei grandi magazzini. Cosa avrebbe pensato la gente?
Il rigorosamente in questo caso veicola un quid, una sottigliezza sarcastica che lui solo riuscirebbe a esprimere in quella forma e in quella posizione e in quel modo. Quindi, vedete, a volte un avverbio in -mente, è effettivamente la scelta migliore.
Dipende tutto da quello che volete dire.
L'accanimento che molti scrittori illustri hanno contro l'avverbio, è appunto l'uso fatto nel primo esempio. Siccome rappresenta un modo semplice (leggi pigro) per esprimere qualcosa, si tende (noi scrittori imberbi, intendo) a usarne a profusione e a pensare di aver fatto anche un gran bel lavoro. Il problema è che l'eccesso di avverbi schiaccia il ritmo e rischia di gettare un sacco di fumo sulla trama. E se la trama è piena di fumo, diventa difficile distinguerla, e di conseguenza seguirla.
- Molto
L'avverbio molto è un po' il prezzemolino della lingua italiana. È anche un'arma a doppio taglio
- Questo strumento è versatile.
- Questo strumento è molto versatile.
Paradossalmente la prima frase ha un valore assoluto, mentre la seconda, in cui l'avverbio molto vorrebbe enfatizzare la caratteristica della versatibilità, finisce per ottenere l'effetto contrario, andando di fatto a dire che la versatibilità esiste, ma, pur essendo presente in grande quantità, non è completa. Ops.
Ve la lascio lì, come riflessione prima di andare a dormire.
Riassiumiamo, dunque: perchè usare gli avverbi con parsimonia?
1. per non appesantire il testo;
2. per avere più chiarezza;
3. per essere più immediati e precisi.
Come sapere quando vanno usati e quando è meglio toglierli?
Semplice. Provate a toglierli e sentite come suona la frase. Se sta in piedi lo stesso, ci sono grosse probabilità che l'avverbio sia inutile.
Ricalco, per concludere, un concetto che ripeto spesso. Scrivere, e soprattutto scrivere bene, è una questione di equilibrio. Nessuna parte del discorso è superflua, nessuna è inutile. Esistono però tempi e modi adeguati per l'impiego di ciascuna. Si tratta di un costante esercizio alla ricerca del proprio stile, che una volta formato, andrà a rispecchiare la personalità di chi scrive. Le scelte stilistiche sono funzionali infatti all'espressione del modo in cui l'autore vede il mondo. Nessuna parte del discorso va quindi demonizzata, ma va invece, studiata con attenzione e una buona dose di curiosità, per farne poi l'uso più adatto a ciò che si vuole dire.
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Recensioni tremende
General Fiction-- SERVIZIO CHIUSO -- Revisora (revisionatrice, revisionista, revisionizozuzizante) a tempo determinato. Servizio di recensioni sincere, approfondite e a tratti anche un po' trash con inserti di riflessione/consigli di scrittura semiseri. Entrate e...