chapter twenty-four

10 3 0
                                    

K a e ' s p o v

Quando tornai alla Tana, sotto ordine di Peter, sentivo ancora le mani di Peter appoggiate sulle mie spalle, una leggera pressione inesistente che mi stava facendo lentamente impazzire. Era da tanto che non volavamo insieme; l'ultima volta mi aveva strappato dal pavimento di New York con leggerezza e senza che me ne accorgessi avevo già i piedi puntati sul terriccio dell'Isola. Quel ricordo era un miscuglio di emozioni, non era né triste né felice, non era un qualcosa da ricordare con piacere, ma neanche da disprezzare totalmente. Cercai di distrarmi stando con i più piccoli, ma mi annoiai quasi subito dei loro giochi, non ero più abituata a stare in mezzo a dei ragazzini e, inoltre sentivo ancora il peso di quelle mani. Quindi, entrai nella mia camera da letto e mi sdraiai sull'amaca, lasciando i Bimbi Sperduti nelle mani di Max, Jam e Levi.

Dopo qualche minuto di silenzio il pensiero di raggiungere Gea mi balenò in testa in mezzo a tutti gli altri pensieri, come un fulmine a cielo aperto, ma scartai subito l'idea pensando alla polvere fatata spolverata sulla pelle del ragazzo. Sbuffai annoiata dal tempo libero, che a New York non avrei avuto, e qualche ciocca rossa mi ricadde sugli occhi azzurri. Le spostai frustata con una mano per poi continuare a smuovermi i capelli finché non diventarono un enorme massa confusa di rosso.

Ad interrompere quel gesto fu Max, che entrò nella camera senza bussare e mi sorrise con la sua dentatura perfetta. Notai che sopra la sua solita maglietta a maniche corte portava un giacchetto di pelle totalmente inutile, visto che la pioggia era cessata da giorni. Come fulminato dal mio pensiero, (o dal mio sguardo indagatore puntato sull'indumento) il ragazzo mi diede alla svelta una spiegazione: "Ti porto in un posto" Mi disse continuando a sorridere. "Dove esattamente?" Chiesi sempre più confusa "Un posto freddo, portati una giacca" Sbuffai e ribattei "Dove la trovo una giacca?" Max attraversò la stanza con grandi falcate e le sue scarpe massicce di pelle producevano un rumore armonioso non intenzionale. Aprì un baule appoggiato al fondo della camera vicino alla finestra e frugò velocemente dentro, rendendo i panni piagati ordinatamente in una massa disordinata, da dove tirò fuori una giacca un po' sgualcita di un colore indefinito tra il verde del vestito che indossavo e il marrone del legno dell'albero. Max me lo lanciò e lo afferrai al volo riluttante e mi alzai. Mentre me la infilavo i miei piedi si muovevano furtivi nel bosco, con Max davanti che mi mostrava la strada.

Mi resi conto dopo un paio di chilometri che la pressione sulle spalle era scomparsa, ma cominciavano a farmi male i piede stretti dentro le Nike consumate.

Sembrava passata una vita intera quando arrivammo al posto che voleva farmi vedere Max. Aveva ragione il moro, faceva abbastanza freddo, eravamo su uno dei monti principali dell'Isola, la costa era ben visibile da lì, come la foresta e la radura dove si trovava la Tana, ben camuffata con gli altri alberi.

Il viale dove ci trovavamo era formato da tanti sassolini che formavano un tappeto grigio. Un albero, ormai secco, partiva da una parte di terra che si mischiava con i sassi. Aveva solo il tronco, che si piegava verso lo strapiombo formato dalla differenza di altezza tra la montagna e il suolo. Max cominciò a salire sull'albero, mentre io lo guardavo terrorizzata. "Max vuoi morire davanti ai miei occhi?" Chiesi sarcasticamente, ma con una nota preoccupata nella voce. Una risata gutturale fuoriuscì dalla sua gola. "No, da qui si vede meglio il panorama" Una volta seduto in una posizione abbastanza stabile, si girò verso di me e mi chiese divertito "Vieni?" Lo guardai sempre più spaventata "No" Dissi in una sfumatura di voce che assomigliava più ad una domanda che ad un'affermazione. "Non ti preoccupare, lo faccio quasi ogni giorno" Mi rassicurò. Ripensai al mio respiro corto mentre camminavamo per ore, mentre il suo sembrava lento e regolare come se avesse appena iniziato a camminare e, anche, a come i suoi muscoli sembravano scolpiti e allenati, arrivando alla conclusione che 'lo faccio quasi ogni giorno' non era solo un modo di dire. Sospirando rumorosamente, mi fidai e non so con quale coraggio lo segui sul tronco. Tremavo, eppure quasi non respiravo per paura di sbilanciarmi, mentre lo raggiungevo. Quando gli arrivai abbastanza vicino, lui allungò un braccio e mi strinse la vita ed io finii stretta accanto a lui. Il suo corpo emanava un calore piacevole e un intenso profumo maschile, mi sentivo stranamente stabile accanto a lui, come se fosse un qualcosa di familiare, e smisi finalmente di tremare.

second star to the rightDove le storie prendono vita. Scoprilo ora