chapter four

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K a e ' s  p o v

Non provai a tornare a casa, con i miei genitori adottivi inventai una scusa: dissi di essere andata a dormire da Helene, una mia compagna di classe. Non sapevo neanche dove abitasse quella ragazza, probabilmente da qualche parte nell'Upper West Side, visti i suoi vestiti firmati che sfoggiava ogni giorno tra i banchi di scuola.
Fuggii dallo sguardo di quel senzatetto, andaii qualche negozio più avanti e mi fermai sotto il riparo di un ombrellone bianco di un bar. Aspettai che la pioggia smettesse di cadere e poi andai al parco recintato di nero. Non so quanto tempo passai sotto quel tessuto bianco, so solo che al mio arrivo all'ingresso nel parco il sole faceva già a gara con i grattacieli a chi fosse più in alto. Guardai la panchina bagnata su cui di solito mi sedevo. Era ricoperta da alcune foglie bagnate e il legno era visibilmente più scuro a causa dell'acqua. Sbuffai continuando a camminare, fino a quando un ragazzo magrolino dai ricci colorati di un blu scuro non venne verso la mia direzione. Lo osservai. Era al telefono e scalciava i sassi che si trovavano sul sentiero del parco. Alzò lo sguardo sentendosi osservato e mi regalò un sorriso imbarazzato. Lo guardai ancora non curante di sembrare strana. La sua voce roca però mi riscosse e spostai lo sguardo sulla terra ai miei piedi. Continuai a camminare, ma le sue parole mi fecero alzare di scatto il volto. "Sì, un tempo davvero strano". Una coincidenza, pensai scuotendo la testa e allontanandomi il più possibile dal ragazzo.

Non passarono neanche dieci minuti e il mio telefono cominciò a squillare. Il nome di Catherine spuntava in rilievo sul display del cellulare. Risposi senza senza esitare "Buongiorno" Sussurrò lei con voce assonnata.
"Ciao" Dissi non accorgendomi del sorriso che incorniciava le mie labbra. "Che tempo strano vero?" Continuò Cat sbadigliando. "Come?" Mormorai irrigidendomi "Si, prima piove poi spunta il sole. È da giorni che fa così eppure è estate". Un sospiro fuoriuscì dalla mia bocce e annuii. Poi mi accorsi che lei non poteva vedermi e sussurrai un flebile "Sì".
"Vabbè non ti ho chiamata per parlare del tempo" Disse con un tono divertito. Il rumore della tenda che si spostava mi fece intuire che stesse guardando fuori dalla finestra del suo appartamento al quattordicesimo piano. "Ti ho chiamata perché ho rimediato un appuntamento dai quei tipi della band di ieri sera" Continuò la ragazza. Mi feci sfuggire un suono molto simile ad un "Ah". Lei, però, proseguì come se nulla fosse successo "Uno dei due gemelli ha accettato solo perché gli ho detto saresti venuta, quindi non deludermi tesoro" Sbuffai "Oggi alle 16. Al bar difronte a Central Park" Detto questo chiuse la chiamata senza aspettare una risposta, perché se lo avesse fatto un "No" Chiaro e tondo sarebbe uscito dalle mie labbra.
Girai un altro po' per quel piccolo parco, finché il solo non divenne abbastanza alto da farmi rientrare a casa senza sospetti. Una volta entrata nell'enorme appartamento dei miei genitori adottivi, mi feci una doccia e mi cambia mettendo dei semplici pantaloncini e una maglietta larga. Pranzai con loro in un silenzio imbarazzante e poi con i capelli ancora bagnati e un'ora d'anticipo mi avviai verso Central Park. Presi la metro.

In quel vagone mi sembrò che tutti i bisbigli che i conoscenti si regalavano erano riferiti al tempo e non erano del tutto casuali. Sentivo la testa immersa nell'acqua la pressione la schiacciava e il respiro cominciava a mancare. Decisi di scendere alla fermata successiva, che era quattro fermate da quella effettiva di Central Park. Uscii dal vagone e mi affrettai a salire del scale che portavano all'aria aperta. Non mi accorsi di star trattenendo il fiato fino a quando la luce del sole mi colpii il viso e una gran boccata di ossigeno entrò con forza nei miei polmoni. Mi passai una mano sul viso. Stavo impazzendo. Vedevo e sentivo cose che sicuramente non riguardavano me e le tramutavo in dettagli fondamentale per la mia partenza futura. Stavo diventando un'egocentrica senza neanche accorgermene.

Feci dei profondo sospiri un paio di volte e poi presi a camminare verso il parco dove sarei dovuta stare a breve.
Tutto sembrava amplificato mentre camminavo, forse la certezza che non avrei più sentito o visto certe cose le ingigantiva senza pudore. I clacson sembravano una delle mie canzoni preferite mischiati al chiacchiericcio generale dei pedoni. Tutto era musica ed io ero il paio di cuffie dove si racchiudeva. Sorrisi, ma con malinconia. Per un momento cominciai a leggere le insegne che fino a qualche tempo prima non guardavo neanche, come se così facendo le avessi imparate a memoria per l'eternità, portandomi questo ricordo nell'altro mondo.

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