chapter six

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K a e ' s p o v

Le mani Peter erano strette ai miei fianchi mentre insieme volavamo via dalla città che avevo appena cominciato ad amare. Pochi anni erano passati da quando avevo lasciato l'isola, troppi pochi per tornare a diciotto anni, ma era questo il patto che avevamo stretto ed erano queste le regole. Non si può lasciare l'Isola Che Non C'è superata la maggiore età ed io ero giunta al termine. I miei diciotto anni compiuti da qualche minuto erano diventati il mio patibolo. L'Isola Che Non C'è era bellissima, piena di verde e sabbia bianca, ma non mi sentivo a casa lì e quando non ti ci senti a proprio agio in un posto si comincia ad odiarlo.
Andavamo incontro al mio destino, inciso e scalfito, che non avrei potuto cambiare. Passammo attraverso una nuvola, i brividi si formarono sulla mia schiena, Peter se ne accorse e mi abbracciò più saldamente riscaldandomi con il calore che emanava il suo corpo. Appoggiai la testa sul suo petto. Mi era mancata la sua vicinanza dovevo ammetterlo.

Presto raggiungemmo l'Isola Che Non C'è. Peter atterrò prima di me sulla sabbia, mi teneva ancora sollevata poi con una delicatezza inaspettata mi fece scendere, con calma i miei piedi colpirono la sabbia. Era di nuovo una bimba sperduta sull'Isola Che Non C'è.

Peter mi sorrise, la sua mano tesa verso di me. L'afferrai con sicurezza e insieme andammo verso il bosco. Passò qualche minuto che mi sembrarono giorni, il silenzio che c'era tra noi non aiutava a far passare il tempo. Vidi poco lontano un albero caduto. Quando arrivammo a qualche passo da esso, mi fermai. Le mie mani e quelle di Peter erano ancora legate costringendolo a fermarsi con me. Mi osservò scrutando il mio viso e ogni mia singola emozione.

Lasciai la sua mano, le nostre dita non volevano saperne di separarsi, ancora.
Lentamente facendo toccare ogni singola parte della pelle delle mani le nostre dita si arresero lasciandosi cadere ai nostri fianchi. Mi sedetti sul tronco. Osservai le mie scarpe rovinate e le mie ginocchia nude scontrarsi tra loro. Appoggiai le mani sul tronco ai lati del mio busto. Sollevai lo sguardo incontrando quello di Peter, un cipiglio curioso scuriva le iridi dei suoi occhi. Le mani avevano ritrovato il loro solito posto nelle tasche dei suoi pantaloni. Anche dopo anni non aveva perso questa abitudine. Si sedette per terra vicino a me in modo da guardarmi dal basso. I suoi occhi mi scrutavano l'anima. Avevo paura potesse vedere quello che provavo ogni volta che mi guardava, prima di lasciare l'isola ci riusciva ogni volta, ma speravo che dopo anni qualcosa fosse cambiato. Invece come se capisse cosa stavo pensando disse "So che non vuoi stare qua" La voce roca, troppo roca per appartenere a un sedicenne.
"Ma questa è casa tua" Continuò. Mi scrutò, il mio era impassibile, ma i miei occhi non lo erano affatto. Mi prese di nuovo la mano "È qui che devi stare, con me" I brividi ricoprivano il mio corpo partendo dalla mano che stringeva alle punte dei capelli.
Lasciai la sua mano scossa dalle emozioni che ancora riusciva a trasmettermi.
Mi guardò di nuovo leggendomi l'anima, le braccia appoggiate indietro per reggere il suo peso "Sei cresciuta" Un sorriso increspò le sue labbra "Prima non avresti mai lasciato la mia mano" Disse l'ultima parte sussurrando.
Il silenzio tornò a regnare supremo tra di noi. La brezza che veniva dal mare muoveva i rami più leggeri degli alberi rendendo quel suono l'unico a risuonare nel bosco.
Fui io a spezzarlo: "Ti ricordi prima di andare sulla terra" Mi fermai e guardai Peter nei suoi occhi color corteccia che al sole acquisivano una sfumatura verde. Lui mi guardò incuriosito dalla parole che avevo appena pronunciato. "Ero sola, nessun posto dove andare e nessuno luogo da chiamare casa" Feci un altra pausa, perdendomi nei ricordo "Eri il mio unico amico Peter, ma a volte anche tu andavi via" Lui si stupì " Ma gli altri bimbi sperduti, loro erano tuoi amici" Sorrisi. Un sorriso amaro "loro non erano come te" scosse la testa "Erano sempre gentili e rispettosi, me lo ricordo bene" Disse lui, continuando con la sua teoria "Forse lo erano, ma continuavano ad escludermi perché non ero un ragazzo o perché avevano paura di farmi male. Tua sorella, passava il suo tempo a fare avanti e indietro sulla terra e una delle tante notti in cui lei se ne andò, decisi" Lui mi guardò, uno strato di malinconia ricopriva i suoi occhi scurendoli, me lo ricordavo quello sguardo, lo stesso che mi aveva regalato quando gli comunicai la mia decisione, solo che a quel tempo cedetti sotto la loro delusione e il mio viso si bagnò di lacrime. Mi aveva promesso che con lui sarei stata sempre al sicuro e mai da sola, ma non cambiai la mia idea e qualche giorno dopo iniziò la mia vita sulla terra. L'isola che non c'è era la casa dei bimbi sperduti, ma io non mi ero mai sentito una di loro. "Perché non sei rimasta? Insieme saremmo stati felici" mi sussurrò, per la prima volta in anni, per non dire secoli, lo vidi vacillare perso nei ricordi di quel momento "Sapevi quel che provavo per te" mi disse, non sapevo cosa rispondere, perché forse anche io provavo lo stesso, ma non ero sicura. In realtà tutto era una grande incognita quando si trattava di Peter. Decisi di ignorare Ie sue parole e la vecchia me che mi urlava di puntare lo sguardo sulle sue labbra e aspettare che si avvicinasse. Mi persi nei ricordi. Peter era sempre stato un ragazzo, anzi un vecchio. Nessuno sapeva quanti anni avesse in realtà e lui non voleva rivelarlo a nessuno. Sulla terra il tempo scorreva differentemente da qui, quello che li era un anno, sull'isola era un secolo forse più, nessuno lo contava veramente il tempo qui. Tutti pensavano a divertirsi, a combattere i pirati e resistere alle tentazioni delle sirene. Intensificò il suo sguardo "tu provavi lo stesso?" Mi chiese con voce ferma "Io ti amavo Peter, come tutti i bimbi sperduti, tu sei il nostro salvatore, ma ora sto pensando che forse sei più un demone, che un angelo. C'hai confinati qui. Quel giorno tu dissi che ero libera, che tutti i bimbi sperduti erano liberi di decidere, se stare qua o sulla Terra, invece non è mai stato così, noi siamo imprigionati su questa isola, incatenati a forza senza possibilità e lo saremo per sempre. Sai che nessuno vorrebbe andarsene da una spiaggia di sabbia bianca e mare trasparente e gli fai credere che abbia una scelta, quando invece è tutta una bugia" La rabbia si impossessò del suo corpo. Si alzò di scatto e mi guardò con odio "Mi pare che tu l'hai avuta la tua scelta" lo guardai per l'ennesima volta negli occhi, anzi non penso di aver mai staccato il mio sguardo da loro. Erano così pieni di emozioni che mi ci persi, ma la mia mente era ancora un minimo lucida, infatti risposi "Se dobbiamo tornare per forza a diciotto anni, Peter, non è una scelta è un ultimatum" Peter scosse la testa "Questa è casa tua" disse con voce ferma. "Ma a che prezzo?" Sussurrai. Lui si rimise la sua solita maschera con il suo ghigno perfetto a incorniciarla. "Al nostro" sussurrò e poi con un balzo spicco il volo e sparì tra le nuvole.
Mi accasciai a terra. Le foglie a sfiorarmi il viso insieme alle lacrime. Perché piangevo? Avevo solamente detto quello che pensavo, ne avevo il diritto.
Dopo quella che sembro un eternità fatta di singhiozzi e respiri alterati chiusi gli occhi e mi addormentai in un sogno senza sogni.

La mattina dopo mi svegliai infreddolita e dolorante. Ero sdraiata su un ammasso di foglie secche dai colori neutri. La luce passava attraverso le foglie ancora verdi sugli alberi maestosi, mi illuminava il viso costringendomi a chiudere gli occhi. Così decisi di voltare lo sguardo verso i fiori lilla accanto a me, sembravano così delicati che anche solo un soffio di vento avrebbe potuto cessare la loro bellezza facendoli volare lontano tra i rovi delle more ancora non mature.
Spostai di nuovo lo sguardo, puntando gli occhi verso i cespugli, nonostante fossero stati lasciati incolti da molti anni, creavano un armonia che legava il paesaggio come se fosse stato disegnato dal più bravo artista di tutti i tempi. Respirai a pieni polmoni e l'odore di salsedine mi pizzicò il naso. Avevo scordato l'odore dell'isola. Mi alzai in piedi, la terra ricopriva il tessuto dei miei vestiti e gran parte della mia pelle. Cercai di scrollarne il più possibile per terra. Mi guardai intorno, verde e altro verde ricopriva i miei dintorni. Non ricordavo bene dove era il rifugio dei bimbi sperduti, così ancora insonnolita presi una strada qualunque e cominciai a camminare sperando fosse quella giusta o perlomeno quella che portava alla spiaggia. Dopo qualche passo inciampa su uno dei cespugli che prima stavo osservando. Mi ritrovai di nuovo sporca di terra sdraiata malamente, le mani infilate nel terreno per tenere il viso a qualche centimetro da esso.




¬spazio noi¬
Salveeee

Prima di tutto, sì la gif all'inizio del capitolo serve per farvi venire degli infartini.

Ahhh this capitolo mi piace un sacco stranamente. Spero piaccia anche a voi 👉🏻👈🏻
Se è così lasciate una stellina a plizzzzz

Un ringraziamento speciale a diakosia
perché commenta costantemente questa storia facendoci sorridere

Btw come va la vita?

~ele ed ele

second star to the rightDove le storie prendono vita. Scoprilo ora