chapter three

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M a r g a u x ' s p o v

All'imbrunire, decisi di non testare oltre la pazienza di mio fratello, persona alquanto puntuale, quando si parla di scadenze che non comportino sacrifici da parte sua. Così ripercorsi i miei passi, inoltrandomi per la seconda volta nella foresta e seguendo il ruscello dell'andata. Il luogo dove vivevamo si trovava al centro dell'isola, sotto a un enorme albero, che spiccava rispetto agli altri in altezza e maestosità. Mio fratello e i bimbi sperduti trascorrevano le giornate correndo, ridendo e scherzando nella piccola area pianeggiante che circondava l'Albero, mentre io tentavo sempre di allontanarmi il più possibile dalla radura, come un piccolo animale che fugge dalla tana natale, per inseguire i suoi sogni. Ma le strette linee di sabbia che circondavano l'isola mi rammendavano sempre, a mio malincuore, quali erano i miei confini. "Puoi andare, ma non troppo spesso, altrimenti invecchierai." aveva detto e io non avevo avuto la forza di rispondere, seppure la mia mente urlasse tutt'altro. Il nostro obiettivo originale era rimasto vivo nel suo cuore, mentre nel mio stava lentamente svanendo, seppur non del tutto.
Quando raggiunsi l'Albero, mi meravigliai del fatto che nessuno era fuori, seppure il sole non era ancora tramontato del tutto. Infatti erano soliti sfruttare tutta la luce naturale disponibile, prima di radunarsi all'interno e utilizzare la luce delle candele e, più raramente, quella soffusa che emanava Trilli. Con passo tranquillo mi diressi verso il grande tronco scuro e chiazzato dal verde della muffa, scostando un piccolo ramo basso e le sue foglie e aprendo successivamente il varco con lo scivolo per scendere al piano inferiore. Quando lo raggiunsi mi stupii, per l'ennesima volta. I bimbi erano tutti riuniti nella stanza, attorno al grande tavolo rotondo in legno al centro della camera centrale e i loro sguardi erano puntati verso il centro del tavolo. Non si muovevano, semplicemente fissavano il punto. Incuriosita da quello strano comportamento, mi avvicinai con passi leggeri e mi sporsi sopra la testa riccioluta di uno dei bimbi, incrociando poi il centro delle loro attenzioni: una piccola scatoletta rossa e bianca, che conteneva quasi sicuramente un mazzo di carte.

"Perché fissate una scatola?" chiesi, facendo sobbalzare i bambini che si voltarono di scatto verso di me.

"Peter ce lo ha dato e ha detto di distrarci, prima di andarsene." rispose uno di loro, Andres, uno dei gemelli. Sorrisi osservando il bambino di appena dieci anni e gli scompigliai i capelli castani, mentre prendevo posto su uno sgabello intagliato nel legno, tra lui e Badu, un bambino di poco più di cinque anni dai tratti africani, dei bellissimi occhioni scuri che farebbero sciogliere anche la persona con il cuore più duro del mondo e capelli castani rasta.

"Dove sono Earth, Max e James?" chiesi, notando l'assenza dei tre ragazzi più grandi. In genere, in mancanza di Peter, erano loro che tenevano sott'occhio i bimbi più piccoli. Con un rapido gesto della mano afferrai il mazzo di carte, estraendole dalla scatola e iniziando a mescolarle, un movimento quasi spontaneo che avevo spesso trovato rilassante.

"Sono usciti, qualche ora fa. Gea ha detto che andavano giù in spiaggia" rispose Richard, che al contrario di tutti gli altri si trovava steso sul tappeto nella stanza adiacente e stava intrattenendo il più piccolo della famiglia arrangiata, Austin, soprannominato 'Riccioli d'oro' per via dei suoi capelli. Gea era il soprannome di Earth, il più grande tra i bimbi sperduti - più o meno dell'età che dimostro io - e beh, la natura di esso è abbastanza ovvia.

"Maggie." mi chiamò Badu, quasi in un sussurro, tirando leggermente la stoffa del mio vestito. Mi voltai verso di lui sorridendo al richiamo con il nomignolo che mi avevano affibbiato. "Come si usano le C...A...R" iniziò a formulare la domanda, tentando di sfruttare le lezioni di lettura che avevo in tutti i modi provato ad impartirgli leggendo dalla scatoletta di cartone. "T...E?" finì, dopo qualche secondo di analisi attenta delle lettere. Gli rivolsi un sorriso tenero, mostrandogli poi il mazzo che avevo in mano e spiegandogli un semplice gioco che avevo imparato nell'Altro Mondo. Qualche minuto più tardi, dopo aver salutato tutti e nove i bimbi sperduti presenti e aver mangiato la cena che quella sera aveva preparato Jeongin - probabilmente perché aveva perso ad un gioco durante la giornata -, mi diressi verso la mia camera. Nel corso dei diversi secoli eravamo riusciti ad adattare perfettamente questo posto ad ogni esigenza semplicemente aggiungendo stanze, trasformandolo in un vero e proprio labirinto di corridoi sotterraneo. Dopo diversi sforzi, ero riuscita ad ottenere una stanza tutta per me - calcando sul mio essere l'unica donna presente - e con il tempo anche altri ci riuscirono, nonostante i bimbi spesso preferissero dormire in gruppi. Una volta sola con me stessa, mi sdraiai sulla mia brandina e come da cerimonia mi lamentai mentalmente di non avere uno di quei morbidissimi letti che spesso mi avevano coccolato nelle notti passate nell'Altro Mondo. Come ogni sera, poi, passai le ore successive a disegnare modelli per abiti che non avrei prodotto mai, ma che servivano ad occupare piacevolmente le ore di attesa infernale. Mi chiesi parecchie volte dove potesse essere mio fratello, ma di certo non mi potevo dire sorpresa della sua improvvisa sparizione, non avevo nemmeno chiesto informazioni ai bimbi, in quanto Peter, da persona impulsiva quale era, non avvertiva mai prima di un viaggio. Che fosse andato nell'Altro Mondo non c'era alcun dubbio, ma la domanda vera era: che cosa doveva fare lì? Per quanto mi sforzassi di ricordare una qualunque conversazione passata che mi potesse dare un indizio sul perché del suo viaggio improvviso, la mia mente stanca e - mi duole ammetterlo - a tratti incurante non ne ricavava alcuna informazione. Cancellando con uno scatto nervoso l'intero disegno, mi alzai dalla sedia in legno, tornando ad occupare la brandina e decisi di sdraiarmi e semplicemente osservare il soffitto, in mancanza di alternative abbastanza fattibili in questo momento di nervosismo parzialmente ingiustificato. Perché doveva essere così... Peter? Una domanda senza risposta che mi avrebbe perseguitato per tutta l'eternità. Un lieve bussare alla porta mi fece scattare di colpo e come al mio solito mi illusi che potesse essere lui, ma quando la porta si aprì, rivelando James, sedicenne estremamente estroverso dai capelli e occhi castani, non potei fare a meno di fare una smorfia delusa, prontamente sostituita con un sorriso dolce sorriso dolce che lui ricambiò abbondantemente.

"Che succede JamieJam?" chiesi, chiamandolo con il nomignolo affibbiatogli dagli altri bimbi di cui spesso si lamentava. Essendo bambini, di certo la creatività non gli mancava. Il ragazzo alzò gli occhi al cielo ma non disse nulla, limitandosi in un modo decisamente non da lui a rispondere la domanda. In genere avrebbe ampliato il discorso.

"Volevamo solo dirti che siamo rientrati. Gea chiede se puoi tenere tu Riccioli d'oro per stasera, siamo veramente esausti." disse, mantenendosi sempre affacciato alla porta, senza entrare realmente ma restando appoggiato allo stipite. Non c'erano mai state ragazze tra le nostre fila, anzi, ora che ci pensavo ce ne fu solo una, ma se ne andò diversi secoli fa per motivi che non riesco a ricordare, credo che fossero tutti leggermente intimoriti da me, non sapevano comportarsi, soprattutto lui e Earth, che erano i più grandi.

"Ma certo" risposi con un sorriso, che il ragazzo colse come un congedo, perché sparì dalla mia vista, probabilmente per andare a recuperare il piccolo Austin. Quando i due arrivarono, mi chiusi la porta alle spalle e imprigionai i miei pensieri in un piccolo cassetto della mia mente. Mi preoccupai di trovare qualcosa di comodo da far indossare al piccolo biondino per la notte e glielo misi con la solita tenerezza che mi avvolge quando mi prendo cura dei bimbi. Mi distesi sulla brandina dietro di lui, stringendolo in un caldo abbraccio che serviva sicuramente ad entrambi: a lui per stare caldo e a me per tirarmi su di morale. Non si ha idea dell'effetto curativo che possiede questo gesto prima di provarlo sulla tua pelle. E con questa atmosfera apparentemente calma e tranquilla, nonostante la tempesta che avveniva nella mia testa, provocando disagi e disordine, riuscii ad addormentarmi con facilità.

¬spazio noi¬
ciao a tutti :D
ho riletto questo capitolo dopo un mese e mentre lo leggevo mi chiedevo perché continui a scrivere capitoli inutili.

Speriamo vi sia piaciuto.

aDiOs

~ele e ele

second star to the rightDove le storie prendono vita. Scoprilo ora