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Se qualcuno sta leggendo questo, beh...ciao.

Mi chiamo Camila, e credo nell'amore.

Tutti mi hanno sempre chiamata Mila, o meglio, quasi tutti. In realtà, una persona non l'ha mai fatto.

E tramite questa storia, vorrei condividere con voi che l'amore, per quanto possa sembrare sbagliato, in realtà non può che essere assurdamente e dannatamente giusto.

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QUALCHE ANNO PRIMA

Quel giorno avevo il fiatone, mentre correvo disperatamente tra le strade di Miami verso la fermata dell'autobus. Sapevo di essere in ritardo, in estremo ritardo, ma cercavo di non pensarci mentre mi muovevo più veloce che mai.

A pochi metri di distanza ma comunque troppi per giungere la destinazione in tempo, vidi la corriera sfrecciare verso di me. Trafelata, provai a buttarmi letteralmente in mezzo alla strada nella speranza che l'autista si accorgesse del mio segnale e si fermasse. Come suicidarsi, capitolo 1.

L'unico risultato che ottenni fu far inchiodare un'automobile, il cui conducente abbassò in fretta e furia il finestrino per poi sporgere il viso all'aria aperta. Era un classico uomo d'affari, di coloro che non sopportano chi trasgredisce le regole o i perditempo.

"Ma sei completamente fuori di testa, bambina?! Levati immediatamente dalla strada!" urlò lui, con un'espressione scura in volto.

Arrossii per la vergogna, mentre con la coda dell'occhio guardavo la corriera allontanarsi da me. Avevo perso l'autobus: la mia migliore amica mi avrebbe ucciso.

Alzai una mano come a chiedere scusa, sussurrando un "E comunque ho diciassette anni" a denti stretti. Mi tolsi dalla strada e giunsi alla fermata dell'autobus, approfittando per sedermi sulla panchina completamente libera.

Appoggiai lo zaino che avevo indosso al mio fianco. Questo era molto leggero: conteneva solo un telo per il mare, la protezione solare, un costume e una bottiglia d'acqua.

Nello stesso momento sentii un trillo provenire dalla tasca destra dei miei shorts.

Sfilai il cellulare dalla tasca e notai dalla schermata il nome della persona che mi stava chiamando: la mia migliore amica.

"Lauren?" chiesi con ormai il respiro regolare, mentre stavo ancora portando il telefono all'orecchio.

"Camz! Dove diamine sei? Per quale motivo non ti vedo nell'autobus?"

Lauren stava cercando di fare l'offesa, ma il suo tono di voce la tradiva. In realtà, sembrava preoccupata.

"Ho perso la corriera, mi è praticamente passata davanti mentre cercavo di raggiungerla..."

Sentii, dall'altra parte del cellulare, un colpo secco, come uno schiaffo. Dedussi che la mia migliore amica si fosse appena battuta una mano in fronte. Poi la sentii ridacchiare.

"Aspetta Camz, scendo e arrivo da te"

"E le altre?" le chiesi, pensando immediatamente alle nostre tre amiche che ci aspettavano già in spiaggia. Eravamo un gruppo a cinque, uno di quei gruppi inseparabili, che avevano bisogno di sentirsi tutti i giorni e vedersi almeno tre volte a settimana.

"Ci aspetteranno. Preferisco arrivare da te ed attendere la prossima corriera. Non ti lascio sola."

Le sue ultime parole mi causarono un brivido alla schiena. Scossi la testa velocemente: in realtà mi accadeva spesso di reagire in quel modo, dopo un commento dolce della mia migliore amica. Era un brivido involontario e vero, ed io non riuscivo mai a spiegarmi il motivo.

Bella Come il Mare || LGBTDove le storie prendono vita. Scoprilo ora