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Quando in serata entrammo nella grande sala mi fermai sulla soglia, stupita dalla vista che si offriva ai miei occhi.

Le tavolate erano immense, ricoperte di cibo ed enormi boccali di birra, sembravano non avere fine.

Non avevo mai partecipato ad un banchetto, solitamente mangiavo in solitudine nella mia stanza, oppure, con qualcuna delle mie sorelle.

Tutto questo per me era assolutamente estasiante.

Mio padre si trovava già seduto a capo della tavolinata centrale.

Mi parve così strano rivedere il suo volto dopo tanto tempo.

Dall'ultima volta che ero stata in sua presenza erano trascorse diversi anni, sembrava quasi appartenere ad un'altra epoca.

Era invecchiato.

La barba e i capelli un tempo rossicci ora si erano ingrigiti e delle profonde rughe gli solcavano gli occhi, raccontando storie di fatiche passate.

L'unica cosa che era rimasta uguale era il suo sguardo, severo e indolente che non lasciava spazio ad alcuna emozione.

Mio padre sembrava non avere affetto per nessuno.

<<Tra poco i nostri ospiti saranno qui. Pretendo da voi il massimo rispetto e proferirete parola solo se interpellate.>>

La sua voce fredda e autoritaria rimbombò nell'aria.

Non si era neanche scomodato a guardarci mentre pronunciava quelle parole, limitandosi a lanciare un ordine che non ammetteva obiezioni.

Lo detestavo.

Ogni parola che usciva dalle sue labbra mi stringeva il cuore.

Nel corso degli anni avevo continuato a nutrire la speranza che qualcosa potesse cambiare, che il gelo che ci separava potesse sciogliersi, ma alla fine mi ero arresa alla dura realtà.

Quell'uomo non avrebbe mai provato affetto per nessuno, né per me, né per le mie sorelle e né tantomeno per mia madre, la donna che aveva sposato e che gli era rimasta accanto per tutta la vita.

Voleva bene solo a sé stesso.

Nonostante tutto, mi sforzai di mantenere il controllo mentre mi sedevo al tavolo, di ignorare tutte le emozioni negative e di tenere a freno la mia lingua che scalpitava per rispondere a tono.

Nel frattempo arrivò Orvar, con la sua solita andatura traballante, dovuta al troppo peso.

Il viso grassoccio e rosso, mi fece sorridere involontariamente, ogni volta che lo vedevo non riuscivo a trattenermi.

Non era mai stato un ottimo guerriero, non aveva né forza né coraggio.

Tutti lo chiamavano "Orvar il codardo".

Era ritenuta una persona poco fidata, tuttavia, il suo aspetto era talmente buffo da suscitare ilarità.

<<Re Hakon, gli ospiti attendono>>, disse, con voce squillante.

Mio padre a quel punto alzò appena lo sguardo e come se ogni movimento fosse un grande dispendio di energia, si rizzò dalla sua poltrona ricoperta di pellicce e con voce tagliente ordinò: <<falli entrare.>>

Poco dopo, quattro uomini con a seguito tutti i loro i compagni, entrarono nella grande sala.

la loro presenza riempiva lo spazio, avevano spalle larghe e la loro altezza era sorprendente.

Erano troppo alti per essere normali, sembravano giganti.

Cercai di cogliere ogni minimo dettaglio, ogni particolare di quei guerrieri.

WULFGAR - The land of snowDove le storie prendono vita. Scoprilo ora