12 - uau, non sono morta

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Correvo nel buio, su una strada sterrata. I rovi pungevano le mie gambe nude, e dietro di me sentivo cani rabbiosi sulle mie tracce.

Improvvisamente, tre colpi di fucile, e il terreno sotto di me scomparve. Un dolore lancinante partì dalla schiena, e toccandola mentre cadevo vidi che perdevo sangue. Ora c'era più luce, ma una luce rossa, tenebrosa. Cadevo accanto ad una parete di roccia nera, sotto di me un pavimento come di ossidiana, intarsiato di quarzo, ma rovinato dal tempo e dalle intemperie. Il suolo si avvicinava sempre di più, finché non sbattei la testa e tutto divenne nero.

Hazel.

Ansimando, spalancai gli occhi, tentando di alzarmi in piedi. Due cose mi fermarono: un dolore atroce all'addome e alla schiena, come se mi avessero pugnalato cinquanta coltelli insieme, e delle spesse cinghie che mi tenevano le braccia legate ad un letto bianco, per impedire di alzarmi.

Nel braccio sinistro avevo una flebo, e avevo addosso un pigiama da ospedale. Il dolore sordo alla schiena non svanì, e avvertii di avere delle bende che la fasciavano.

Come diavolo ci sono finita qui?

La testa mi pulsava, e non riuscivo a ricordare cosa mi fosse successo, e perché fossi lì.

Beh, uau, non sono morta.

Un'infermiera entrò nella stanza spoglia da ospedale, e vedendomi sveglia si affacciò sul corridoio.

«Dottore, la ragazza si è svegliata!» disse in spagnolo.

In breve tempo la stanzetta si riempì di infermieri e medici, che mi guardavano in attesa.

«Dove sono? Perché sono legata?» chiesi, e mi stupì della mia voce, come se non l'avessi mai sentita prima d'ora.

«Sei al pronto soccorso di Puerta de Plata, in Perù. Io sono il medico Rubio, il chirurgo che ti ha operata due notti fa. sei legata perché temevamo avessi convulsioni. Ora sei tu a doverti presentare.»

Come diavolo mi chiamavo? Cosa ci stavo a fare li?

Hazel.

Fece ancora la voce dentro di me.
Improvvisamente, i ricordi mi travolsero come un onda di piena. Non potevi raccontare la verità ovviamente, e fingere di avere un vuoto di memoria giocava a mio vantaggio.

«Sono Hazel, Hazel Tarbon. Non mi ricordo...
viaggiavo, mi sembra. Devo andare in Brasile, ma non mi ricordo chi mi ha sparato, e perché. Come... come sto?» balbettai confusa.

Rubio guardò dentro una cartella, e apri la bocca per cercare le parole.

«Sei stata incosciente per 72 ore. Il primo proiettile è entrato e uscito, lacerando solo un muscolo, il secondo è stato fermato dai muscoli della tua schiena, essendo spessi, evitando che ti lacerasse organi della schiena. il terzo...»

Io impallidii, capendo immediatamente dove sarebbe andato a parare. Il girino. Il figlio di Bill che cresceva dentro di me, dannazione. Ebbi un attacco di ansia, e le immagini davanti a me si confusero. Quando finalmente un infermiera riuscì a calmarmi, Rubio era ancora lì ad aspettare.

«Ci dispiace Hazel. Il terzo proiettile ha lacerato la sacca uterina, purtroppo hai perso il figlio.»

Sentii una lacrima rigarmi la guancia, e deglutì un grumo di saliva.

«Io... sono... sono rimasta... sterile?» chiesi con un filo di voce.

«No. abbiamo salvato i tuoi organi, ricucendoli in tempo. Ma per il feto non c'è stata speranza.»

Tirai un sospiro di sollievo, poi il mondo iniziò a vorticare, fino a svanire.

Quando mi risvegliai, qualche ora dopo, mi sentivo vuota. Nei giorni prima dell'incursione a villa Aceval, avevo metabolizzato l'idea di avere un figlio, da lì a qualche mese, e mi ero abituata anche alle nausee che ogni tanto mi assalivano. Ero felice, pensando a Bill, e sentivo spesso la sua mancanza.

INHERITANCE ~ Hazel RomanoffDove le storie prendono vita. Scoprilo ora