Alle tre esatte di martedì bussai alla porta dell’ufficio del professor Styles. Quando la sua voce mi rispose di entrare mi preparai alla solita routine, cioè a sedermi sulla poltrona di fronte alla sua scrivania, per poi alzarmi e spostarmi sulla sua sedia, mentre lui mi faceva vedere tutto quello che avrei potuto cambiare del mio tema.
Invece non trovai nessuno dietro la scrivania, perché lui era seduto sul divano con il computer portatile sistemato sul tavolino basso di fronte a sé.
Mi fece cenno di accomodarmi di fianco a lui ed io lo raggiunsi, con il cuore che batteva all’impazzata.
“Buongiorno, Mary Jane!” Esclamò lui, con un sorriso da mozzare il fiato. “Ti va una tazza di tè, mentre parliamo del tuo tema?”
“Volentieri, grazie.” Risposi.
C’era qualcosa di profondamente sbagliato nel prendere un tè con un professore, seduti su un divano da due posti (stretto) e così vicini. Eppure non c’era nessun altro posto in cui avrei preferito essere in quel momento, nemmeno il letto di Jasper. E sì, mi sentivo molto in colpa per quello.
Il professor Styles si alzò dal divano e tornò con due tazze, bustine di tè, zucchero e latte. Lo ringraziai e rifiutai educatamente qualsiasi cosa non fosse il tè. Mia madre mi aveva insegnato a berlo senza zucchero fin da bambina (“perché altrimenti come fai a sentirne il vero sapore? Lo zucchero rende tutti i tipi di tè uguali!”). Era una cosa che aveva imparato durante il suo giro dell’Europa, quando era rimasta per qualche settimana in Inghilterra.
“Allora, leggiamo il tema di questa settimana. Hai avuto difficoltà?” Mi domandò. Portò la tazza alla bocca per bere il primo sorso e gli si appannarono gli occhiali.
Sorrisi quando lui scoppiò a ridere, poi abbassai lo sguardo sulle mie mani. Era arrivato il momento di consegnare il mio lavoro.
“Devo ammettere che sì, ho trovato qualche difficoltà all’inizio, perché non capivo il senso della traccia. Poi ho cominciato a scrivere e le parole sono arrivate da sole.” Risposi. “Ecco.” Aggiunsi poi, decidendomi finalmente a porgere la chiavetta USB.
Il professore sfiorò le mie dita con le sue e provai un brivido, nonostante non avessi freddo. Mi morsi il labbro inferiore e cercai di distogliere lo sguardo, così mi concentrai sulla mia tazza.
"Si nota un po' di incertezza nelle tue parole, ma le emozioni sono vere, si capisce." Cominciò lui dopo qualche minuto di silenzio. Poi rilesse con attenzione la parte in cui parlavo dell'amore, quella che per me era la più personale in assoluto, e mi concentrai di nuovo sul tè. "Questa è la parte che ho preferito, quella in cui hai descritto quello che provi in modo più puro e sincero. Ci sono degli errori e non è perfetto, ma da queste frasi traspare quello che c'è nel tuo cuore e sei riuscita a trasportarlo sul foglio senza lasciare che si intrappolasse nella mente, senza analizzarlo troppo." Aggiunse.
Lasciai andare un sospiro di sollievo e mi accorsi che avevo trattenuto il respiro per tutto quel tempo.
"Grazie. Per me è difficile non analizzare troppo le cose. Sono una perfezionista e di solito tendo ad accertarmi che la forma e la grammatica siano corrette e metto tutto il resto in secondo piano. Questi esercizi mi stanno aiutando tantissimo." Replicai.
Styles sorrise di nuovo e quel gesto scatenò un uragano di farfalle impazzite nel mio stomaco. Perché era così bello e così vicino a me?
"Voglio provare a fare qualcosa di diverso durante i prossimi colloqui." Disse pochi minuti dopo. Appoggiò la tazza di tè di fianco al computer e mi guardò negli occhi, facendomi battere il cuore ancora più velocemente. "Voglio che provi a scrivere un racconto - anche breve, concentrandoti sulle emozioni dei protagonisti. Scrivi una storia d'amore e portami quello che sei riuscita a fare martedì prossimo. Non importa se è finita o no, possiamo anche lavorarci per più di una settimana." Propose.
"È un'idea bellissima." Dissi. "Posso scrivere quello che voglio, basta che sia una storia d'amore? Niente traccia?"
"No." Rispose lui scuotendo la testa. "Sei libera di inventare quello che vuoi."
"Perfetto, grazie."
Mi piaceva quel nuovo compito e non vedevo l'ora di cominciare a scrivere, perché avevo già mille idee in testa.
Lanciai un'occhiata alla sveglia sulla parete opposta e notai che mancava ancora un quarto d'ora alla fine del colloquio, quindi sapevo che ci saremmo messi a parlare del più e del meno come al solito.
"Com'è andato il tuo test su Dickens?" Domandò infatti il professore.
"Abbastanza bene, grazie! Ho fatto novanta punti su cento." Risposi.
"Beh, sei stata brava! Se posso aiutarti in qualche altro modo lo farò con piacere."
"Grazie, prof. Lei è troppo gentile con me."
Per un momento lessi preoccupazione nei suoi occhi, poi si rilassò e mi rivolse un sorriso educato.
"Lo faccio con piacere. Mi piace aiutarti, sei una brava studentessa." Rispose lui. "È bello passare tempo con te, il tuo entusiasmo per la scrittura è contagioso e mi viene sempre voglia di scrivere dopo le nostre chiacchierate." Aggiunse dopo qualche secondo, abbassando lo sguardo come se mi avesse appena rivelato qualcosa di imbarazzante.
Cercai con tutte le mie forze di non fraintendere quello che mi aveva detto. Il mio entusiasmo era contagioso, non mi aveva detto che ero la sua musa. E allora perché mi sentivo improvvisamente così allegra? Perché sembrava che il mio cuore stesse per esplodere?
"Mi... M-mi fa piacere." Balbettai.
L'atmosfera era cambiata tutto d'un tratto. Non era più leggera come prima. Era diventata tesa e pesante e quasi soffocante.
Lui continuava a guardarmi negli occhi ed io non riuscivo a distogliere lo sguardo.
Per un momento pensai (e sperai) che stessimo per baciarci. L'aria era elettrica tra di noi ed eravamo così vicini...
Avremmo dovuto fare uno sforzo davvero minimo per avvicinarci e lasciare che le nostre labbra finalmente si trovassero.
Il professore mosse la mano lentamente e la appoggiò al mio ginocchio, mandando il mio cervello in cortocircuito. La mia pelle sembrò scottare sotto il suo tocco e sentii un brivido lungo tutta la spina dorsale.
Non era umanamente possibile provare tutte quelle emozioni per una cosa così stupida e semplice.
Persi la cognizione del tempo. Non sapevo quanti secondi o minuti erano passati. Non ricordavo nemmeno più dove fossi e neanche che ci fosse un mondo intero oltre a quel divano. Ero incantata da quegli occhi verdi che continuavano a fissare i miei, dello stesso colore, ma un po' più scuri. Ero ipnotizzata dalla sensazione che la sua mano provocava sul mio ginocchio. Da quel calore che partiva sotto il suo tocco e si espandeva in tutto il mio corpo. Dalle farfalle che si muovevano senza sosta nel mio stomaco e dal cuore che rimbombava nelle mie orecchie.
"Sei... Ehm... Sei una persona speciale, Mary Jane. Meriti di essere amata e spero che ti innamorerai anche tu. Spero che riuscirai a provare quei sentimenti intensi che desideri tanto. Il ragazzo che riuscirà a conquistare il tuo cuore sarà davvero fortunato. Spero... Spero che il tuo fidanzato, quello che gioca a calcio, sia la persona giusta per te." Mormorò dopo un po'.
Aveva cominciato ad avvicinare il viso al mio, l'avevo visto. E poi si era fermato e aveva distolto lo sguardo, fissandolo sullo schermo ancora acceso del suo computer. Voltare il viso sembrava essergli costato uno sforzo enorme.
Lo guardai per qualche altro secondo e poi presi la mia borsa dal pavimento e mi alzai, con il cuore pesante e il respiro affannato. Sembrava che avessi corso una maratona, quando in realtà ero rimasta immobile su un divano.
"Grazie, professore."
Qualcosa, dentro di me, era crollato quando l'avevo sentito dire quelle parole. Non riuscivo a spiegarmi nemmeno io cosa fosse appena successo. Ero sconvolta e volevo solo allontanarmi da quella situazione.
Senza dire nulla aprii la porta e uscii dall'ufficio. Raggiunsi la piazza del campus e cominciai a camminare senza meta. Quando arrivai davanti ai campi di calcio, iniziai a correre e mi fermai solo quando sembrò che il mio cuore stesse per scoppiare e le mie gambe per cedere.
STAI LEGGENDO
Little White Lies || [One Direction - Harry Styles]
FanfictionMary Jane Watson ha un nome che la rende il bersaglio di battutacce da parte di tutte le persone che conosce. E la gente non sa nemmeno il vero motivo per cui si chiama così (fortunatamente, perché le battute orribili potrebbero solo peggiorare)...