Accettarsi

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Mi chiedo quanto ci vuole ad accettare qualcosa che sai ti dovrai portare dietro per tutta la vita.
Ci vuole una vita intera, forse?
Una vita sprecata a cercare di capire, per poi inalare l'ultimo respiro e realizzare di aver perso tempo, a forza di guardarci dentro per provare ad ammettere cose che forse già sappiamo, e non poter far niente se non espirare per l'ultima volta, ma la prima, in realtà.
Ci vuole un anno, forse?
365 giorni, 12 mesi, 4 stagioni di climi che si scontrano, di voglia di viversi, di amore nascosto prima tra le coperte della mia stanza - solo quando casa è vuota - per poi, nella stagione opposta, spogliarsi ma solo del copricostume, e mai della maschera che mi fa dire che sei solo la mia migliore amica.
Ci vuole una settimana, forse?
Un lunedì monotono in cui mi sveglio e il letto è troppo grande perché tu non occupi l'altra metà, e allora mi stringo ancora di più su di me per cercare un calore illuso ma al tempo stesso consapevole. Un mercoledì sofferto come le cose che non sanno prendere una svolta nemmeno se ce la mettiamo tutta. Un venerdì in cui gioisco ma non con te. Un sabato di pioggia passato a casa senza poterti dire di raggiungermi per spezzare una bella quotidianità col tuo sorriso. Una domenica a pranzo dai miei nonni con la ragazza di mio fratello seduta accanto a me, mentre tu sei a casa tua col ragazzo di tua sorella di fronte, perché io non posso invitarti, e tu non puoi invitare me.
Ci vuole un giorno, forse?
24 ore, niente di più, e al primo minuto del giorno successivo la notte si illumina di consapevolezza e sicurezza. Giusto il tempo di un giorno che nasce e che muore per andare a vivere altrove. Il tempo di un'alba e un tramonto, i primi e gli ultimi che non condividiamo, però.
Ci vogliono un paio di minuti, forse?
Il tempo di una canzone, un giro di accordi semplice ma efficace mentre tutte le insicurezze diventano parole abbracciate da una melodia rassicurante, che ci ripete che non siamo le uniche, che non c'è niente di strano, che esiste - ed è esistita - al mondo gente che situazioni del genere le ha già vissute, e domani ne esisterà altrettanta che vivrà le stesse cose, così per sempre in un loop eterno che sa di normalità, anche se a noi sembra così lontana.
O forse ce ne vogliono sei, forse?
Il tempo di una canzone di più di qualche decina di anni fa, una di quelle con le basi solenni dove i vìolini sembrano i protagonisti di un film perfetto e struggente al tempo stesso. Quelle che ti piacciono tanto perché le ascoltavi in macchina con tua mamma, quando non ti eri posta alcun tipo di domanda, e quando le risposte a queste ultime non avevano sbilanciato il vostro rapporto.
Tu? Tu lo sai quanto ci vuole?
A camminare a testa alta, a guardarmi dentro senza avere paura di quello che penso, ad ammettere ciò che provo senza timore, a guardarti con gli occhi dell'amore senza curarmi di ciò che gli altri possono pensare, ad incastrare le mani nei tuoi capelli lunghi senza ricordarmi che siamo qualcosa di così diverso da quella che considerano "normalità". A prenderti per mano senza rischiare niente, a passeggiare senza sguardi storti puntati su di noi, a parlare dei miei sentimenti apertamente a tavola con la mia famiglia, a presentare l'amore - non dico di una vita, ma della parte più importante certo che sì - ai miei nonni per tranquillizzarli e dir loro che c'è qualcuno che sa amarmi come merito.
Dimmi, lo sai?
Perché io la notte dormo con un peso snervante sul petto che qualche volta mi tiene sveglia anche quando gli occhi mi scongiurano di riposarmi, almeno un po'. E invece no, lui sta lì e mi ricorda che non potrò avere il futuro che avevo immaginato. E si impone, ancora e ancora, come un qualcosa di estremamente negativo che sembra essere la penitenza ad un qualche male compiuto forse nella mia vita precedente - ammesso poi che ci sia, e che tutto questo non sia solo frutto della mia fantasia.
Mi hanno sempre detto che per accettare ciò che si è, si deve essere abbracciati dal cuore giusto, ma la verità è che io non ci ho mai creduto, non volevo ammettere che ciò che penso di me potesse dipendere da qualcun altro.
E quindi, in realtà, non ho mai saputo quanto ci volesse, a capire. Ad accettare. Ad ammettere. Ad urlare a voce alta. A fare tutto questo senza vergogna.
Non l'ho mai saputo, te l'ho detto, te l'ho sempre detto.
Ma da quando ci sei, è tutto più facile.
Forse avevano ragione loro, e per la prima volta, a me, va bene così.

Instantes que foram importantesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora