Four

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Tae andò a dormire con l'idea che l'indomani, alla fermata del pullman avrebbe chiesto a Jungkook di fargli da modello. Nel frattempo, lo avrebbe domandato anche alla nonna e a Sakura, ma solo quando la mamma non fosse in casa.

Come tutti i ragazzi, i quali riescono a dare il meglio di sé solo quando i genitori non sono presenti, Tae faceva lo stesso.

Troppe spiegazioni da dare, troppe aspettative da soddisfare, troppa pressione. 

Quando anche l'ultimo raggio di luce aranciata soffusa scomparve dalla sua vista, e nel cielo non restò che azzurro Jungkook si separò dalla ringhiera e ficcò le mani congelate in tasca, e con molta calma, passeggiò verso la sua meta.

Arrivato davanti all'insegna, Jungkook staccò le cuffiette dal cellulare e le arrotolò, infilandole in tasca, e poi entrò nel locale, diretto verso la stanza del personale.

Il luogo in cui lavorava era un locale per giovani molto in voga, che il sabato andava a gonfie vele. Era uno di quei posti resi famosi per puro caso che di fatto non avevano nulla di speciale, ma che attiravano masse di ragazzi per semplice passaparola.

Dentro era davvero strano: vari stili di varie culture e ancor più di vari periodi storici confluivano nelle tre stanzette di cui il locale era formato. E così non era strano trovare un elefante di legno sul divanetto sfondato o tre o quattro enciclopedie a fare da supporti per raddrizzare il tavolo.
C'erano poi alcune stampe di band musicali appese su un'intera parete e un angolo bar a dir poco regale. Per finire, il tavolo preferito di Kook non era proprio un tavolo, ma un pezzo di locomotiva piovuto lì probabilmente dall'Ottocento, mentre a far da centrotavola c'era una lampada di quelle con le bolle luminose dentro - che Jungkook non aveva neppure idea di come si chiamassero. 

"Jungkook, forza che sei in ritardo!" gli disse Hobi, uno dei suoi più spumegianti e migliori amici, ma che sul posto di lavoro diventava solo un suo impassibile capo e lavorava come cuoco principale, un cuoco anche alquanto rinomato a livello internazionale, almeno stando a quanto diceva lui.

Jimin, che anche lavorava lì, gli lanciò al volo il corto grembiulino nero che insieme alla camicia e ai pantaloni neri completava la sua divisa.

Jungkook lo prese al volo sentendoci dentro un peso: Jimin doveva averci già inserito il cavatappi che tutti i camerieri dovevano necessariamente avere con loro.

Jungkook lo ringraziò con un cenno del capo. 

In quel locale, Jungkook era davvero a casa: tutti i suoi più cari amici lavoravano lì. 

Hobi, dalla cucina, gli consigliò di andare a prendere gli attrezzi e di cominciare a dare una ripulita, mentre il ragazzo gli indicò il proprio giubbotto e la stanza del personale.

Hobi annuì e tornò in cucina.

Uscì dopo aver lasciato il giubbotto, mentre ancora finiva di allacciare il grembiulino.

Gli passò accanto una ragazza biondissima più nuda che vestita e con dei tacchi che potevano essere dei trampoli; lei probabilmente non aveva più di sedici anni.

Lei gli fece un sorrisone e un occhiolino e lui ricambiò un sorriso che non era interessato, ma nemmeno timido.

Per carità, a lui lei non poteva interessare di meno, ma per codice, tutti i camerieri devono essere gentili e alla mano, quindi era richiesto dalla sua posizione.
Jungkook si era quindi diretto in cucina per attendere ordini. 

Quando il lunedì successivo Taehyung arrivò alla fermata del pullman, Jungkook era già lì. Si salutarono con la mano.

In verità, Tae aveva pensato più volte di mandargli un messaggio, anche solo di ringraziamento per la serata che avevano trascorso insieme e per il gelato e così, forse, magarieventualmentesepossibile,  avrebbero cominciato a chiacchierare fino a incontrarsi di nuovo.

Save me : TaekookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora