Capitolo 7: I wish I could be the one, the one who won't care at all

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Era una giornata normale per Brian, si era appena alzato per fare colazione. Da quando aveva perso casa sua e i suoi genitori sono morti non riusciva piú a permettersi un appartamento tutto suo, ancora il trauma lo stava lentamente consumando dall'interno. Ricordava quel giorno come se fosse accaduto di recente, ma erano giá passati due anni. Aveva ventitré anni quando da un momento all'altro diventó orfano, senza neanche la possibilitá di rivendicare la loro morte. Le provó tutte, ma la polizia non poté fare molto a causa di prove insufficienti. Spesso lui credeva che in realtá fossero tutte scuse.

Londra era cambiata, non é piú la cittá che ricordava, quando era bambino si respirava un'aria piú tranquilla nelle strade, ora invece doveva stare attento a tutto.

Rapine, molestie, alcune zone della cittá sono diventate molto pericolose e l'assenza di autoritá mista alla paura del vicinato ha contribuito alla sua discesa. Si era sempre ritenuto fortunato di avere un gruppo di amici che gli volevano davvero bene e gli sono sempre stati accanto in tutto, specialmente Michael, il suo migliore amico, colui con il quale ha deciso di dividere un appartamento. La rabbia bruciava forte in lui, talmente tanto da averlo spinto a fare volontariato, partecipare a piú manifestazioni possibili, battersi per cause considerate da lui giuste, cercare di fare qualcosa di concreto per cambiare davvero le cose. La sua vita era perfetta; aveva una mamma e un papá che nonostante tutti i sacrifici non gli fecero mai mancare nulla, si era da poco laureato in Video Games Art and Design con la speranza di poter lavorare un giorno in una grande compagnia di videogiochi, il massimo peró che é riuscito ad ottenere é stato un lavoro da Cex, al momento non aveva il tempo e la voglia di cercare altro, molte mattine riusciva a malapena ad alzarsi dal letto a causa della sua depressione, la sua vita ormai si altalenava tra due stati d'animo: quello pieno di voglia di fare e quello in cui non aveva voglia di vedere nessuno. Stava diventando cosí mentalmente estenuate da spingerlo ad andare da uno psicologo, per fortuna lo stava aiutando.

Era un martedí, uno dei suoi giorni liberi, alle dieci di mattina aveva appuntamento proprio dal dottore. Decise di fare piú in fretta possibile, non voleva fare tardi, si assicuró di avere tutto in tasca e uscí di casa. Era proprio una bella giornata, non c'era un filo di umiditá nell'aria il che era strano per essere a fine novembre, ma compensava con il freddo, freddo che lui amava. Non era abituato al caldo, ha sempre odiato l'estate, lo deprimeva ancora di piú, amava la sensazione del freddo, lo faceva sentire vivo, piú vivo di ogni altra cosa.

Arrivato nello studio dello psicologo lo accolse la solita segretaria, sempre gentile e pacata, e dopo aver atteso qualche minuto riuscí ad entrare.

<<Buongiorno dottore.>> lo salutó timidamente.

Solitamente era una persona sfacciata ma davanti a lui si sentiva nudo, spoglio di tutto, qualcuno che riusciva a capirlo mentalmente lo rendeva vulnerabile ed era proprio quello di cui aveva bisogno.

<<Ciao Brian. Come stiamo oggi?>> chiese pacatamente il dottor Weire.

Un sospiro, lungo e pesante.

<<Mi stavo sentendo meglio, sa ultimamente avevo smesso di pensarci per la maggiorparte del mio tempo. Peró poi giorni fa ho avuto un incontro particolare e mi ha scombussolato tutto.>>

<<Vuoi parlarne?>>

<<Si, in effetti sono convinto che mi aiuterá farlo. Ero al parco, dall'altra parte della cittá, l'Holland Park. Il mio cane come sa é pigro, dopo un pó di tempo che siamo fuori non ha piú voglia di camminare e fa i capricci, cosí cercavo di convincerlo. Poi una ragazza si é intromessa, mi ha dato un consiglio su come risolvere il problema, mi ha detto di prenderlo in braccio. E ha funzionato.>>

La ragazza dai capelli neriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora