Prologo

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Era un giorno come un altro. Avevo otto anni, ero in macchina con mia mamma e mio papà mentre tornavamo da una vacanza al mare. Ero seduta sul sedile posteriore, mentre stringevo tra le mie mani un piccolo coniglio di peluche e guardavo fuori dal finestrino.
Ad un certo punto mia madre ha urlato "sterza!", ho sentito un grande tonfo, le orecchie hanno iniziato a fischiare e poi buio, solo buio. Quando mi sono svegliata, dopo aver perso i sensi, non riuscivo a smettere di tossire, non vedevo nulla, solo del fumo denso e scuro che mi provocava un fortissimo bruciore agli occhi. Mi sono trascinata a fatica fuori dall'abitacolo, ho sentito il suono delle sirene in lontananza e dopo essermi allontanata mi sono girata. Il fuoco avvolgeva due automobili e tanti pezzi di metallo erano sparsi dappertutto. Ho visto il mio coniglietto sull'asfalto a pochi metri da me e ho iniziato a guardarmi intorno alla ricerca dei miei genitori. Ma solo quando l'ambulanza è arrivata sul posto ho capito che i miei erano intrappolati in quell'inferno. Sono corsa fino all'auto ed ho iniziato ad urlare:
"Mamma!","Papà","Rispondete vi prego!","Ora vi porto fuori da qui, ve lo prometto!".
Ho cercato di aprire una delle portiere ma il fuoco non me lo permetteva, io non avevo forze e continuavo a tossire per via di tutto il fumo che avevo inalato.
Le lacrime continuavano a scendere all'impazzata e a rigarmi il viso, percepivo un dolore fortissimo al petto, il mio cuore si era spezzato. Me ne stavo lì davanti a guardare il fuoco che inghiottiva sempre di più le due macchine, mi sentivo impotente e continuavo a pregare Dio. "Ti prego salvali, non farli morire. Non se lo meritano" continuavo a ripetere.
Ho avuto paura, tanta paura. Ma non quella paura che hai da piccolo quando pensi che sotto il tuo letto ci sia un mostro. Ho provato la paura vera, la paura di perdere le persone che più amavo al mondo e io non potevo fare niente. La paura mi ha messo in ginocchio, mi ha pugnalata e mi ha lasciata lì da sola. Mi sentivo invasa da quest'emozione, quasi paralizzata; volevo solo svegliarmi da quell'incubo. Ma purtroppo era tutto vero.
Un soccorritore poi mi ha presa in braccio, mi ha caricato in ambulanza e poi subito d'urgenza in ospedale. Le lacrime non smettevano di rigarmi il viso e l'unica cosa a cui pensavo erano i miei genitori. Poi mi hanno messo una flebo e buio di nuovo.
Il giorno dopo mi sono svegliata in ospedale, zia Chloe era ai piedi del letto con i capelli spettinati, le occhiaie e una faccia da funerale.
"Dove sono mamma è papà?" chiesi con l'ultimo briciolo di speranza nella voce
"Non ce l'hanno fatta cami, non ci sono più..."
A quelle parole tutta la speranza volò via in soffio e il mio cuore si spezzò un'altra volta.
Le lacrime iniziarono a scendere velocissime lungo tutto il viso. Non potevo crederci, non poteva essere vero. Avrei preferito morire io, loro non lo meritavano. Era come se avessero strappato via una parte di me, sentivo di non poter più essere la stessa. E così quel giorno mi promisi di non affezionarmi più a nessuno, che senso aveva se poi dovevo dire addio alle persone che amavo. Il dolore mi tormentava giorno e notte, facevo fatica a dormire e non parlavo quasi mai. Dalla bambina allegra e piena di vita che ero, diventai quasi un vegetale.

Dopo l'incidente andai a vivere da mia zia. Un giorno i nostri vicini, grandi amici della zia, ci invitarono a pranzo. Quel giorno conobbi Jack che mi conquistò fin da subito, sia per il suo grande sorriso sempre sulle labbra sia per la sua tenacia. Ma io avevo una promessa da rispettare e non potevo farmi coinvolgere emotivamente. Lo ignorai, lo trattai male e lo feci pure inciampare sulle scale ma lui non si arrese mai. Così alla fine cedetti e divemmo amici.
Lui divenne il mio unico amico.

Ed eccomi qui, quasi diciassettenne. Costretta fin da piccola a portare una maschera con tutte le persone, tranne con Jack e con la zia. In questi nove anni ho solo imparato a fingere, a creare muri in un istante a come farmi odiare in un secondo. Perché quel giuramento vale ancora, non posso permettermi di affezionarmi a nessuno. A scuola faccio di tutto per farmi evitare e a casa invece, posso essere me stessa al cento per cento. Il dolore non è mai svanito o solo imparato a conviverci, in parte grazie anche alla signora Poth, la mia psicologa. Lei insiste sul fatto che non devo nascondermi, che devo essere me stessa e che affezionarsi è normale, siamo essere umani ed è giusto così. Ma io non voglio, non voglio mai più rivivere quello che ho provato. Jack e la zia sono delle eccezioni, ed è già difficile con loro.

SPAZIO AUTRICE
Ciao amici, questo era il prologo. Spero vi sia piaciuto e spero che voi non abbiate pianto come ho fatto io mentre lo scrivevo😂.
Fatemi sapere cosa ne pensate e se vi va lasciate una stellina.
Baci
Bea💖

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