Capitolo 2 - Aurora

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Roma, 13 febbraio 2014

"Che faccio con lei, ispettore? È la terza volta che la becchiamo ma si rifiuta categoricamente di dire il nome del suo protettore..."

L'ispettore De Santis alza lo sguardo dalla pila di documenti su cui stava cercando di concentrarsi e li posa sulla ragazza di colore vestita in modo succinto che uno degli agenti ha portato davanti alla sua scrivania. Strizza un paio di volte gli occhi che bruciano terribilmente e preme con le dita la base del naso aquilino. Sono appena le nove di mattina ma lui è già stanco morto e ha un mal di testa feroce, retaggio di troppe notti in cui ha dormito pochissimo e male. Il dannato concorso per diventare ispettore capo è tra due settimane e lui è indietro da far schifo nella tabella di marcia, dovrebbe applicarsi molto di più ma quando rientra dal lavoro non ha modo di dedicarsi solo allo studio. Monica, sua moglie, è di nuovo incinta e non sta affatto bene, è tormentata dalla nausea al punto che a volte si domanda come faccia a reggere tutte il giorno sobbarcandosi la gestione della casa e del loro primo figlio, che ha due anni e un'energia da coniglietto Duracell. Le poche ore che passa con lui la sera, per permettere a Monica di riposarsi un poco, lo devastano completamente e così succede che quando si approccia allo studio è già stanchissimo e per riuscire a rispettare più o meno il ritmo che si è imposto gli tocca rimanere sui libri tutta la notte. E naturalmente poi il prezzo da pagare sono queste cefalee da stanchezza che lo schiantano in due e una capacità di concentrazione ridotta ai minimi termini.

Come se non bastasse, oltre al vociare di tanta gente, allo squillare ininterrotto dei telefoni e al via vai continuo attraverso i corridoi sovraffollati, quel mattino c'è un odore acre e pungente che si sovrappone allo stantio dei locali sempre male arieggiati, che gli prende stomaco e gola ad ogni respiro. Un tossico, talmente fatto da non riuscire a reggersi in piedi, ha dato di stomaco in un angolo e si è accartocciato nel suo vomito, che ora sta ammorbando l'aria.

"Ispettore?"

L'agente è ancora davanti a lui, e lo guarda con insistenza in attesa di ordini.

"E che vuoi farci? Se non è disposta a collaborare tanto vale che chiamiamo quelli della buoncostume... ce la rimanderebbero indietro nel giro di qualche ora. Sei sicuro che abbia capito cosa le è stato chiesto? Lo parla l'italiano?" Il sottoposto non fa in tempo ad aprire bocca che la donna comincia a riversare sull'ispettore una tale sequela di insulti che non ci sono più dubbi sul fatto che l'italiano non solo lo capisce, ma lo parla anche benissimo.

De Santis butta la biro che aveva in mano, con un gesto spazientito. "Trattienila ancora qualche ora, e poi lasciala andare. E chiama qualcuno che porti via quel coglione e che dia una pulita. Non si respira, cazzo!"

L'ultimo improperio è seguito dal suo alzarsi fulmineo per aprire la finestra alle sue spalle, è disposto a subire il frastuono del traffico e lo smog che arriva da fuori pur di togliersi quell'odore rancido dal fondo della gola.

"Che posto di merda, Cristo di un Dio. Che posto di merda"

Poco prima di mezzogiorno, incredibilmente le cose sono quasi andate completamente a posto. Il mal di testa, complice un paio di pastiglie, ha smesso di martellargli le tempie, e il mucchio di documenti da evadere che infestava la sua scrivania si è miracolosamente abbassato. I corridoi si sono svuotati, il rumore è diminuito in modo esponenziale e qualcuno ha portato via il tossico e ripulito per terra. Sembra che i guai abbiano deciso di lasciare in pace il X Tuscolano, cosa su cui qualche ora prima non avrebbe assolutamente contato.

Appone la sua firma sull'ultimo documento e si concede un piccolo sorriso, mentre solleva il plico e lo batte piano sulla scrivania per pareggiarlo e poi spillarlo. Sta per alzarsi e andare verso il boccione dell'acqua quando il telefono sulla scrivania prende a suonare. Per qualche motivo quel trillo gli fa contrarre i muscoli alla base del collo, in una sorta di premonizione che spera tanto non si avveri.

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