Roma, novembre 2018
De Santis soffia sulle mani, nel tentativo di riscaldarsele. Novembre ha portato una serie di giornate fredde davvero inusuali e la macchina, appena prelevata dall'autorimessa, è fredda come una tomba. Guarda di sbieco il collega che, il braccio steso sullo schienale del suo sedile e il volto concentrato è intento nella retromarcia per parcheggiare con perizia sotto casa del Presidente.
Vorrebbe chiedergli di tenere il motore acceso per poter fare sì che il riscaldamento continui a funzionare, ma quando lo guarda in viso si dimentica di chiederglielo, colpito dai segni scuri sotto gli occhi del collega.
"Ohi, Mauro, che faccia c'hai. Anche ieri notte in bianco sui libri?"
Loi abbozza un sorriso. "Non proprio sui libri".
Giancarlo si sporge appena verso il collega, le labbra predisposte al sorriso.
"Ma dai? Hai movimenti e non mi dici niente? Te possino... E chi è?"
L'altro ridacchia un po' imbarazzato. "Non prendermi per il culo però".
"Perché? Lo conosco?"
"L'hai visto".
"Ma va? Mo' so' curioso però".
Mauro sospira. "Te lo ricordi il direttore del resort dove il Presidente... si è, come dire, intrattenuto?"
"Certo che me lo ricordo. Il resort e l'intrattenimento", alza gli occhi al cielo. "E pure il direttore. Ma dai. Davvero? Non avrei mai detto che..."
"Che cosa, Gianca'? Che fosse finocchio pure lui?"
De Santis ha un moto di stizza: credeva che quello scoglio fosse superato tra lui e Mauro e gli dispiace che l'amico sia ancora così sulla difensiva, con lui.
"Ma falla finita Mauro! Non pensavo che lui cagasse di striscio degli sbirri come noi, mi dava l'idea di uno con la puzza sotto il naso".
"E invece...", Mauro strizza l'occhio al collega.
"E com'è che avete iniziato a frequentarvi?"
"Gli avevo dato il mio numero per quella questione. Prima mi ha chiamato lui per i dettagli, poi dopo qualche giorno l'ho richiamato io per sapere se fosse tutto a posto con il bonifico e gli ho chiesto se gli andasse di vederci per un caffè".
"Così, de botto?", ride il maggiore.
"Eh, alla mia veneranda età ho capito che è meglio buttarsi che aspettare che il primo passo lo facciano gli altri..."
"E piantala, veneranda età... fai bene Maure', fai bene. Afferra la vita a piene mani e non lasciare che sia nessun altro a decidere per te".
Stanno un po' in silenzio poi Giancarlo continua: "Ma da quanto vi state frequentando?"
"Da un mesetto circa, anche se fra il suo lavoro e i miei turni ci siamo visti poche volte, alla fine".
"Ti vedevo un po' con la testa fra le nuvole ultimamente...", ridacchia De Santis. "Ma quanto sei preso, collega?"
"Eh, diciamo che questa volta penso proprio sia una cosa seria. Almeno, io ne ho tutte le intenzioni, poi si vedrà".
I loro discorsi vengono interrotti dal portone che si apre e dalla figura del Presidente che compare col solito ritardo accademico.
Mauro mette in moto mentre Giancarlo gli carezza la nuca emettendo un "Daje Maure'" di buon augurio, un secondo prima di uscire dall'auto per andare incontro al Presidente, come vuole la prassi.
È Mauro a tornare sull'argomento, qualche ora dopo. Hanno accompagnato il Presidente in Parlamento e hanno da far passare parecchie ore. Si avvicina a Giancarlo, che ha appena chiuso una telefonata con la moglie.
"Comunque volevo dirti che se non te ne ho parlato non è perché non mi fido di te, o perché penso che tu possa in qualche modo biasimarmi".
Distoglie lo sguardo, e lo disperde nella grande piazza davanti a loro.
"E' solo che... è complicato, ecco"
De Santis affida il presidio dell'ingresso a Ricci e Fumagalli e si avvia verso un bar poco lontano.
"Pigliamoci un caffè, dai", suggerisce.
Il trucco funziona. Davanti a un buon espresso e da soli, nel profumo accogliente del locale quasi vuoto è più facile raccontarsi.
"Con Andrea ho sbagliato tutto. Ero bloccato, terrorizzato da ciò che potevano pensare gli altri, e ho permesso ai miei timori di essere più forti di ciò che provavo per lui... e per questo l'ho perso". La voce gli si incupisce, come se un po' di quel dolore gli fosse rimasto dentro, come il nero di una muffa in un angolo nascosto, che non riesci mai a debellare del tutto.
"Lui insisteva perché uscissimo allo scoperto, perché andassimo a vivere assieme. Perché fossimo alla luce del sole ciò che sentivamo di essere nel profondo di noi: una coppia, due persone che erano una. Ma io chiudevo gli occhi e sentivo le voci di scherno dei colleghi al commissariato e vedevo le lacrime di mia madre e lo sguardo deluso di mio padre e non me la sono sentita". Chiude gli occhi anche ora e ci mette qualche istante a ricominciare a parlare.
De Santis attende, il fiato trattenuto, perché è sicuro che quella confessione Mauro non ha avuto il coraggio di farla a nessuno prima che a lui. "Lui ci era già passato e ha provato a convincermi che avrei dovuto decidermi prima o poi, che non avrei potuto nascondermi per sempre, ma io non ho avuto il coraggio di scegliere di... di amarlo". Mauro fa un'altra pausa e finisce l'acqua che hanno portato loro insieme ai caffè.
"Perdere Andrea mi ha spezzato il cuore, soprattutto perché ero consapevole di essere stato io a decidere, anche se a mettere la parola fine, concretamente, fu lui".
Mauro si ferma di nuovo, in un silenzio ancora così carico di sofferenza che quando la cameriera arriva a prendere le tazzine vuote entrambi hanno la sensazione che l'aria intorno a loro possa sgretolarsi ed andare in pezzi, come un vecchio muro corroso dal tempo.
"Dopo di lui mi sono imposto di non amare più. Troppo doloroso e difficile. Qualche avventura c'è stata, ma sempre troncata nel momento esatto in cui cominciavo a pensare che avrebbe potuto essere qualcosa di... di più. Ma, come spesso succede, quella di pensare di saper governare il proprio cuore è la balla più clamorosa che ci raccontiamo..."
Loi prende un respiro profondo e, mentre parla, la voce gli si addolcisce, si arricchisce di consapevolezza e, forse, di speranza.
"In realtà tutti questi buoni propositi valgono fino a quando non incontri davvero qualcuno che senti di non voler lasciare andar via. Perché quando quel qualcuno lo incontri, va tutto a puttane... tutto".
Sorride. E in quel sorriso Giancarlo riesce a vedere quel tutto. E sorride anche lui e si augura davvero che quell'amore sia quello giusto per il suo amico, quello grande e irrinunciabile, quello che avrebbe saputo dargli la forza sufficiente a trovare il coraggio di vivere come sentiva di voler vivere.
Posa la mano sulla spalla del collega e il sorriso gli diventa più ampio.
"E allora manda tutto a puttane, Mauro."
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OLTRE
General FictionOltre l'arroganza, l'ostilità e la discriminazione c'è l'amicizia, quella vera.