È proprio una bella donna, il nuovo amore del Presidente.
Lo è nelle curve piene del fisico racchiuse nei jeans e nella maglietta azzurro polvere che indossa, nei tratti volitivi e spigolosi del viso che i sorrisi sanno ammorbidire e spennellare di dolcezza e devozione infinita.
Lo è nell’anima, nella forza e nella sofferenza che ne traspare, che racconta di molto dolore superato, della voglia di non avere più paura di essere felice.
E soprattutto lo è nella luce che le accende lo sguardo quando i suoi occhi scuri si posano sull’uomo che il destino le ha messo al fianco e la sua espressione racconta di un amore smisurato, difficile da spiegare a parole o da concretizzare nei fatti.
A meno che non si decida di fare ciò che sta facendo il Presidente, che una volta ancora, è riuscito a cogliere tutti di sorpresa.
“…se sei d’accordo, Virginia è qui per sposarci, Eleonora”
De Santis trasalisce, e cerca lo sguardo di Loi che è stato chiamato dal Presidente accanto ad Eleonora, per farle da testimone. Mauro gli restituisce un’occhiata incredula poi il suo sguardo si addolcisce, quando incontra quello spaventato di Eleonora e lo vede regalarle un sorriso e un cenno di assenso.
Sorride tra sé e sé anche De Santis: il dottor Loi in azione, con tutta la dolcezza e la tranquillità che sa trasmettere.
Magari lo avesse avuto vicino lui, il giorno in cui si è sposato.
Si accorge di sorridere nel ricordo ritrovando, di quei momenti richiamati in modo così improvviso, sensazioni vivissime, come se le avesse vissute il giorno precedente: il sole splendente di quel pomeriggio di settembre, il leggero fastidio delle scarpe lucide, mai indossate prima e ancora un po’ dure al momento del passo, il sudore che gli era colato giù per la schiena quando lei aveva tardato, lei che non tardava mai, che non lo deludeva mai, che non lasciava mai il suo cuore da solo.
Non sapeva con precisione quando aveva capito che non ci sarebbe potuta essere nessuna altra donna che contasse davvero. Aveva sentito il cuore battere un ritmo differente sin dalla prima volta in cui i loro sguardi si erano allacciati, in quel cortile di borgata dove lui era arrivato per una partita di calcio con alcuni amici e lei era scesa per vederli giocare. Quegli occhi, mutevoli come mercurio, gli si erano impiantati in mezzo alla pancia e si era preso due gol come un coglione, prima di riuscire a trovare la forza di staccarsene.
In realtà, lo aveva capito quasi subito, a staccarsi davvero da quello sguardo non ci sarebbe più riuscito. Se lo era portato dentro in un pezzo nascosto di cuore che nemmeno sapeva di possedere, ed era tornato a galla nei momenti più impensati. Si era ritrovato a desiderarli al suo fianco sui banchi di scuola, sul bagnasciuga la sera, in mezzo al vociare sgraziato degli amici, davanti al tramonto che rosseggiava dietro le antenne TV sui tetti dei palazzi, quando rientrava dal lavoro la sera. E a un certo punto aveva dovuto arrendersi e tornare in quel cortile, con una scusa qualsiasi.
Per qualche strano gioco del destino lei era seduta sullo stesso muretto da cui lo aveva guardato giocare a calcio, e chiacchierava con un’amica. Non le aveva parlato, ma era tornato la sera dopo e quella dopo ancora, fino a quando era stata lei ad avvicinarlo e ad indicargli la strada fuori dal cortile. “Camminiamo?” gli aveva chiesto.
Si erano incamminati e a lui era venuto naturale raccontarle cose che mai avrebbe immaginato di saper confessare: la rabbia che aveva dentro per quel percorso tracciato che sembrava volerlo imprigionare, la voglia di studiare, il desiderio di cambiare le cose.
“Se ci riesco,” le aveva chiesto “se riesco ad andarmene, a provare, a…” aveva scoperto di non saperlo dire, per quanto era grande e difficile persino da immaginare. Per fortuna lei aveva capito. “Io ti aspetto” aveva detto. E gli aveva sorriso.
L’aveva baciata la sera prima di partire per la Scuola Allievi della Polizia. Lui aveva compiuto da poco diciannove anni e lei stava per compierne diciassette.
Aveva già baciato altre ragazze, con qualcuna si era spinto anche ben oltre, ma il primo bacio con Monica era stato qualcosa di mai provato, di difficilmente spiegabile e di così unico da rimanergli appiccicato nel cuore, e da riuscire a spezzargli il respiro, ogni volta che ci aveva pensato. Era stato un ritrovarsi, più che uno scoprirsi, il riavvolgersi di un nastro perduto, i colori di una fotografia ritrovata nel fondo di un cassetto.
Lo aveva portato con sé e custodito nel profondo senza dire nulla a nessuno, senza far trasparire l’intensità dei suoi sentimenti nemmeno a lei, nei messaggi e nelle telefonate che si erano scambiati. Ma quando l’aveva rivista la prima volta, tre mesi dopo, era stato chiaro ad entrambi che non avevano altro destino che quello di camminare affiancati, incapaci di respirare in modo completo senza che l’uno fosse l’aria dell’altro.
Sorride di nuovo, mentre osserva la schiena ampia del Presidente, quelle spalle squadrate che tanto piacciono alle donne, e quelle tonde e dolci della donna che sta per diventare sua moglie. Lui le sta mettendo al dito l’anello e la voce con cui pronuncia le formule del rito è sicura e controllata.
Vede bene il movimento con cui Eleonora prende fiato, il tremolare lieve prima di parlare a sua volta e il sorriso gli si fa più ampio.
Monica non aveva incespicato, nell’affermare di voler diventare sua moglie: era stato lui a farlo, quella voce così abituata al comando divenuta all’improvviso smarrita, consapevole come mai era stato prima che senza di lei al suo fianco sarebbe stato perduto. Ma lei gli aveva sorriso, e la luce delle candele aveva tremato sulla sua bocca quando lui aveva respirato ed era andato avanti, e da allora non c’era più stato un solo momento in cui avesse vacillato, dentro, in cui la presenza silenziosa ma inamovibile di sua moglie gli fosse venuta a mancare.
Era sempre stata lei la più forte, in ogni situazione. Aveva affrontato traslochi e cambiamenti, gravidanze e notti insonni, i suoi silenzi e il suo umore scabro e mutevole e le sue sciocche mancanze. Avevano urlato e pianto e riso e accusato e perdonato. Ma nessuno dei due aveva mai messo in discussione che l’altro fosse l’inizio e la fine di ogni cosa. Lo zenit e il nadir, la vita e la morte. Tutto
Eleonora nel frattempo ha trovato fiato e voce e il rito si è appena concluso in un bacio travolgente, di quelli che non lasciano nulla all’immaginazione e che strappa un applauso e un paio di commenti irriverenti ai presenti. Applaude anche lui, alla forza e alla dolcezza di quel lasciarsi andare, e incurva le labbra per emettere un fischio acuto, da stadio, di quelli che un ragazzo di borgata come lui è stato ha dentro al patrimonio genetico. “Auguri, Presidente!” grida e continua ad applaudire, lo sguardo che si sposta su tutti i presenti, una deformazione professionale quella di includere tutti nel proprio campo visivo che teme si porterà fino alla tomba.
L’ultimo su cui posa lo sguardo è Mauro, che si è un poco scostato dalla coppia felice e continua nel suo applauso, le labbra atteggiate a sorriso ma lo sguardo appannato da un velo di tristezza e rimpianto.
“Non pensarci, Maurè,” si ritrova a sussurrare “non pensarci…”
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OLTRE
General FictionOltre l'arroganza, l'ostilità e la discriminazione c'è l'amicizia, quella vera.