Capitolo 9 - Punto di rottura

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Roma, maggio 2015

"Guida tu, Mauré... io con 'sta giacca mi sento tutto ingoffato..."

Mauro ride, mentre afferra al volo il mazzo di chiavi che il suo collega gli ha appena lanciato. Sono entrambi in divisa, come non succede quasi mai, ed è sicuramente più scomodo muoversi piuttosto che con l'abbigliamento che indossano di solito.

"Che poi non la capisco 'sta cosa... conta quello che diciamo, mica come siamo vestiti!"

Mauro ride di nuovo. A Giancarlo questa cosa di presentarsi ingessato nell'uniforme d'ordinanza proprio non va giù. E invece è importante, molto importante, per il tipo di compito che li attende oggi.

"Eh, qui ti sbagli, Giancà", prova a spiegare Mauro. "Come siamo vestiti conta moltissimo. Le cose che diremo impatteranno decisamente di più, se le pronunceremo con le insegne delle forze dell'ordine a rappresentarci. Anche lo stronzetto di turno ci penserà due volte se un agente gli spiegherà che apostrofare o mettere le mani addosso a chi ritiene più debole è un atto deplorevole...", stringe forte il volante con entrambe le mani, "magari non smetterà di bullizzare quello che lui ritiene il più sfigato. Ma, spero, ci penserà prima di farlo."

Giancarlo lo osserva, e sembra comprendere appieno solo adesso perché Mauro ha insistito per essere assegnato al gruppo che una volta la settimana si reca nelle scuole di periferia a parlare di bullismo. Guarda un attimo fuori dal finestrino poi torna a rivolgersi al collega. "Ci sei passato, Maurè?"

L'altro non risponde subito, si prende il tempo per sorpassare un motocarro carico di rottami, poi si lascia scappare un sospiro.

"Ovviamente sì. Specie i primi anni delle superiori, quando ho incominciato a capirci qualcosa di più di me e ho deciso di smettere di fare finta che mi piacesse quello che piaceva ai miei amici. E quando loro lo hanno capito..."

La voce gli si abbassa al punto che Giancarlo si dà mentalmente del coglione, per averlo obbligato ad affrontare un argomento così doloroso.

"È successo per caso, perché ti giuro, io stesso l'ho scoperto per caso... di colpo mi sono ritrovato appoggiato al muro a guardare il più figo della scuola e la prescelta di turno baciarsi in mezzo al corridoio. Rapito, catturato, eccitato come mai mi era successo di essere. E nello stesso momento mi è crollato il mondo addosso e non ho saputo più nulla, il bianco è diventato nero e il tempo ha iniziato a scorrere al rovescio, perché mi sono reso conto che era lui che guardavo. Lui, non lei. Guardavo lui, e mi domandavo come avevo fatto a non vedere quanto fosse bello, a non notare come gli si arricciavano i capelli nel collo, come erano appena definiti i bicipiti sotto alle maniche della t-shirt. Come si muoveva la sua mandibola nel turbinare vorticoso del bacio. E non riuscivo a non scacciare il pensiero che avrei voluto esserci io tra le sue braccia, in quel preciso momento."

Si interrompe e deglutisce, gli occhi fissi sulla strada ma la mente lontanissima, ripiegata su quel ragazzino confuso e sofferente che era stato.

"Da lì a cadere nella confusione più totale il passo è stato breve: tempo un paio di settimane e lo zoccolo duro dei coglioni della scuola mi ha beccato a spiarlo mentre giocava a basket, con una mano dentro ai pantaloni... e da lì è iniziata la mia discesa all'inferno."

Giancarlo fa fatica persino a respirare, consapevole della sofferenza che Mauro deve aver vissuto

"La mia diversità mi ha portato a essere deriso, umiliato, picchiato. Avrei dato tutto ciò che possedevo per avere qualcuno a cui rivolgermi, come potremo essere noi oggi per qualcuno di quei ragazzi. Avrei dato l'anima per qualcuno che mi difendesse, mi spiegasse come fare ad accettarmi e a non avere paura di ciò che ero. Sono stati anni difficilissimi, e non sono..."

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