Capitolo 4 - Volere è potere

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Ischia, 5 settembre 2018

Ha sempre una marea di gente intorno.
Ovunque vadano, a qualsiasi ora, che sia sera o mattina le persone si assiepano al suo passaggio e lo chiamano, sorridono, applaudono.
Qualche detrattore di tanto in tanto c’è, per carità, ma davvero pochi, considerando cosa hanno sempre  pensato gli italiani dei politici. Lui non si sottrae, gli va riconosciuto. Adora questi bagni di folla, adora stringere mani, ricevere pacche sulle spalle e addirittura baci, spesso da qualche vecchietta intraprendente. Succede anche che a baciarlo o a richiamare la sua attenzione siano donne decisamente più giovani e i richiami non cadono mai nel vuoto, ma questa è un’altra storia.
La folla si fa più insistente e restringe il passaggio nella via che devono percorrere. De Santis mormora qualcosa nell’auricolare e cerca con gli occhi Loi che sta alla sinistra del Presidente. Ricci, ubbidendo agli ordini richiama un agente dalle retrovie e con lui cerca di fare spostare le persone per agevolare il passaggio. Sono quasi riusciti a creare un corridoio abbastanza spazioso quando a sorpresa, davanti al Presidente si materializza un bambino. Deve essersi infilato tra le ginocchia dei presenti e sorride tutto contento di essere riuscito a guadagnarsi la scena; ha un paio di jeans e una maglietta azzurra e stringe un foglietto ciancicato e una biro.
Gli tira con insistenza i lembi della giacca e richiama la sua attenzione “Me lo fai un autografo?” chiede allungandogli foglio e matita.
Se c’è una cosa che fa sciogliere il Presidente più degli occhi delle donne e delle loro scollature sono i bambini. Si trasfigura, in loro compagnia, li accoglie e ascolta con una dolcezza e un’attenzione che non possono che commuovere, che suscitare ammirazione e tenerezza in chi ha la fortuna di assistere.
Anche stavolta è così. Si abbassa sorridente al livello della testolina castana “Solo se tu mi dai un bacino” risponde.
Il bimbo non ha problemi a cercargli la guancia e ricambia il bel sorriso che riceve.
“Come ti chiami?” ha già  il foglietto e la biro tra le mani, il Presidente, e sta scrivendo una dedica lunga e articolata. “Nicholas, con la ch” risponde la vocina poi, incurante dei sorrisi che quella precisazione ha suscitato, si appoggia ai capelli scuri dell’uomo che gli sottopone la sua dedica per poterla leggere insieme. “Riesci a leggere?” gli domanda, il tono dolce e premuroso a dimostrare tutta la dolcezza che prova. L’altro asserisce e cominciano a leggere insieme “A Nicholas, perché studi con tanto impegno e si diverta studiando” Risollevano entrambi la testa e la voce profonda del Presidente adesso è la sola a risuonare, nel silenzio che si è creato tutto intorno.
“Vedi” spiega al bimbo che lo guarda concentrato “adesso tu studi e riesci a divertirti  studiando. Poi troverai un lavoro e riuscirai ad appassionarti lavorando.” Fa una pausa e dà un’altra carezza al visino alzato verso di lui. “E la cosa più bella della vita… lo studio, è la chiave per tutte le cose”
Si sorridono come si conoscessero da sempre e  il Presidente gli sfiora ancora la guancia con le dita per salutarlo, prima di tornare a stringere mani e proseguire il suo cammino.
La folla torna a spingere e Nicholas rimane pericolosamente imbambolato a fissare la schiena fasciata di blu che si sta allontanando. De Santis lo vede, con la coda dell’occhio, e abbaia un ordine a Ricci che retrocede e a Loi, che prenda il suo posto alla destra del Presidente.
Torna sui suoi passi e riesce a far spostare il ragazzino un istante prima che venga travolto dalla massa in movimento, poi quando il grosso delle persone si sono allontanate si accuccia vicino a lui e si stupisce di scoprirgli il viso pieno di lacrime.
Non gli sembra lo abbiano spintonato, è abbastanza sicuro di essere arrivato in tempo.
“Perché piangi? Ti hanno fatto male?”
Nicholas ci mette un istante a rispondere, tira su col naso e cerca di scrutare dietro quelle lenti scure, di capire fino a che punto può essere sincero. Si terge le lacrime con le mani ma nulla, continuano a scendere. De Santis gli allunga un fazzolettino di carta che ha pescato dalla tasca.
Il piccolino si asciuga gli occhi poi si soffia rumorosamente il naso e scuote la testa in un cenno di diniego.
“Nella mia classe mi prendono tutti in giro perché invece che giocare a pallone preferisco studiare. Mi dicono che sono scemo e…altre cose”
De Santis trattiene il guizzo di un sorriso. Deve essere una buona classe, la sua. Ai suoi tempi, a lui hanno detto di molto peggio.
“Lo hai detto ai tuoi genitori? Magari loro possono parlare con la maestra”
Due lacrimoni tornano a rotolare sulle guance. Fa cenno di no, con la testa, di nuovo.
“Nessuno ha tempo a casa. Papà fa due turni al lavoro e la mamma fa le pulizie. Siamo io e tre fratelli, devono lavorare se no, dicono, non ce la facciamo. Bisogna lavorare, dice papà, non studiare. Lavorare fa portare a casa i soldi, studiare li fa spendere.” Prende fiato e reprime un singhiozzo. “Ma a me piace studiare…”
De Santis non sorride più. Si limita a passargli una mano sulla schiena magra, come lo era la sua. E la voce di suo padre gli risuona nella testa dolorosa come allora.

“Togliti dalla testa strane idee.
Tu finisci la scuola professionale, poi vieni a lavorare in officina, con me, che già il padrone ci fa un piacere a prenderti come apprendista.
Ma robe da matti…vuole studiare, lui… come se in questa famiglia avessimo i soldi da buttare dalla finestra in libri e cose così. Farai il meccanico come lo faccio io. È già una maledizione che ste leggi del cazzo che ci sono adesso mi obblighino a mandarti a scuola fino a 16 anni… io alla tua età portavo già la pagnotta a casa!”
Giancarlo aveva stretto i pugni, muto e immobile sotto allo scrosciare delle parole di suo padre. Non avrebbe ceduto. Non avrebbe vissuto tutta la vita in tre stanze perennemente impregnate di odore di cucina. Se ne sarebbe andato via e avrebbe avuto una bella casa e una vita diversa e ideali in cui credere che non fossero arrivare a fine mese senza lasciare in sospeso il conto del lattaio. Per un istante gli erano balenati davanti un paio di occhi grigi, chiari e cangianti come l’acciaio, e come l’acciaio morbidi e incorruttibili, e il cuore gli aveva mancato di un battito. Avrebbe portato via anche lei, che era troppo bella e preziosa per una vita così miserevole.
“Verrò a lavorare all’officina” aveva sibilato, il tono di un uomo, malgrado i sedici anni appena compiuti “ma studierò di notte e se supererò il concorso per entrare in Polizia mi permetterai di farlo”
Si erano fronteggiati per qualche istante, poi, sulla spalla aveva sentito la mano di sua madre.
“Mi sembra giusto, Antonio” aveva detto, schierandosi dalla sua parte, contro il marito.
Non era mai successo prima e, paradossalmente, quello era stato il momento in cui tenere duro era stato più difficile, in cui aveva temuto di non saper respingere le lacrime.
La mano sciupata di sua madre aveva stretto ancora e lui aveva resistito.
Alla fine aveva ceduto suo padre.
“E va bene” aveva risposto. “Se invece che andare a divertirti dopo il lavoro vuoi studiare fai un po’ quel che vuoi. Ma i soldi che guadagni li tengo io”

Ci era riuscito, naturalmente.
Aveva terminato l’istituto professionale ed era andato a lavorare con suo padre. Ma aveva continuato a studiare per prepararsi al test d’ingresso dedicando a quello scopo ogni minuto libero. Aveva sopportato le risate sprezzanti dei suoi amici che gli davano del coglione, le occhiate pietose delle ragazze che si domandavano per quale motivo preferisse la compagnia dei libri alla loro, gli sguardi di commiserazione di suo padre quando al mattino lo raggiungeva in officina con sul viso i segni di una nottata passata interamente a studiare. Non aveva ceduto mai, nemmeno un istante e alla fine aveva superato il test d’ingresso con un punteggio pauroso, decisamente più alto di altri candidati provenienti da licei prestigiosi. E da lì non si era più fermato, si era imposto obbiettivi sempre più ambiziosi e li aveva raggiunti tutti uno dopo l’altro.  Sorride a Nicolas
“Se a te piace studiare studia. Anche a me piaceva e tutti mi prendevano in giro, e mi dicevano che non ne valeva la pena ma io ho creduto in me stesso e non a loro.”
Si rialza in piedi e gli dà la mano, adesso si farà dire dove abita e lo farà accompagnare a casa da qualcuno, e si assicurerà che alla famiglia venga fatta una bella reprimenda, non esiste che un bambino così piccolo sia in giro da solo in mezzo a tutto quel caos.
“Non credere a nessuno, se non a te stesso, capito? E persegui i tuoi sogni, lotta per farli avverare” si toglie gli occhiali e cerca gli occhi di Nicholas con il nero brillante dei suoi, che ancora non hanno perso la grinta da rapace che avevano in quel giorno lontano, tanti anni fa, quando aveva sfidato suo padre, e il suo destino.
“Volere è potere, Nicholas, non dimenticarlo mai. Volere è potere.”



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