Capitolo 8 - Epifania

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Roma, 2 giugno 2014

Chi abita fuori Roma ha forse la sensazione che il 2 giugno sia per la città un giorno speciale, in cui ogni cosa fa riferimento alla grande parata, alle cerimonie, alle passerelle di politici e personalità varie. In realtà per chi vive e lavora fuori dal centro storico il 2 giugno è una giornata come tante altre. Anzi oggi è ancora più tranquillo di altri lunedì, il telefono squilla pochissimo e il campionario di umanità presente nei corridoi è decisamente meno variopinto del solito.

De Santis sta scrutando Loi da quando è arrivato e lo ha trovato già seduto alla sua scrivania. Ha risposto al suo cenno di saluto con un movimento gemello e poi ha riabbassato lo sguardo alla pratica che stava evadendo. Niente di strano rispetto al solito, raramente il loro salutarsi è più espansivo di così ma c'è qualcosa di trattenuto nella postura di Mauro, quasi volesse celare sé stesso, mostrarsi ancora meno del solito.

Giancarlo si sorprende varie volte a scrutarlo senza farsi notare, a studiare i suoi gesti e a domandarsi, se davvero le cose stanno come stanno, come ha potuto non accorgersi di nulla. Deve parlargli, è importante, quasi necessario. È il suo uomo migliore e ha assoluto bisogno di fidarsi di lui e soprattutto deve essere certo di avere la fiducia di Mauro.

L'occasione arriva poco prima di mezzogiorno, un controllo per una sospetta effrazione che raccoglie lui direttamente al telefono. Il copione è lo stesso di sempre. Recupera il tesserino dal cassetto poi raggiunge la scrivania di Loi e lo chiama, senza nemmeno fermarsi. "Andiamo, dai".

Loi deglutisce, prende un respiro fondo, e segue il collega nel parcheggio con passo deciso, che se il momento è arrivato tanto vale affrontarlo a testa alta.

Giancarlo fa scattare la chiusura automatizzata e si infila in macchina, le movenze fluide e veloci di sempre. Lui si accosta alla portiera, la apre e nell'atto di sedersi lo vede, bianco e interminabile per i tanti articoli acquistati, una lunga serie di numeri e lettere che si confondono in incroci disordinati e casuali.

Uno scontrino dell'Ikea.

Lo prende tra le dita, avendo cura di non gualcirlo, poi prende posto e, mentre Giancarlo mette in moto e si immette nel traffico, tiene gli occhi incollati su quella piccola, innocua, dirompente striscia di carta.

La voce di Giancarlo lo coglie di sorpresa e lo sorprendono le sue parole, anche se è da quell'istante in cui ha creduto di vederlo ieri pomeriggio che le attende.

"Non mi devi dire niente, Mauro?"

Sospira e alza lo sguardo da ciò che trattiene tra le mani, poi guarda fuori, la strada scura che scorre sotto il profilo affusolato dell'auto.

"Si chiama Andrea. Stiamo insieme da un anno". Il tono è sicuro e si fa quasi feroce. "Sì, sono frocio".

Lo guarda, ne registra il movimento della mascella, il gesto nervoso con cui impugna il cambio e scala la marcia, segue il movimento della mano che dal pomello torna a stringersi sul volante. Aspetta un commento, una parola, anche solo uno sguardo ma Giancarlo non stacca gli occhi dalla strada. E rimane in silenzio.

Mauro invece in silenzio non vuole stare più. Non vuole più sentirsi in bilico tra bene e male, tra giusto e sbagliato. Non vuole avere più paura di essere ciò che è, non con Giancarlo.

Appoggia lo scontrino sul cruscotto davanti a sé, sospira, poi si volta a mezzo verso il collega

"E adesso hai qualcosa da dirmi tu, Giancarlo?" Fa una pausa e percepisce chiaramente il disagio del suo amico ma non molla.

"Secondo me sì, visto che usate tutti la parola frocio come un insulto. Anche tu."

Ci mette un attimo a rispondere.

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