Capitolo 15 - Abitudini e cambiamenti

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Roma, novembre 2020


La sveglia è suonata da qualche minuto e Monica si sta divincolando piano dalle sue braccia.

Gli piace tenersela abbracciata, quando dorme, la sensazione che gli deriva dal far aderire il suo corpo a quello minuto di lei è un che di perfetto e appagante che non può descrivere e che come niente altro ha il potere di farlo sentire bene, a casa, giusto e compiuto.

E gli piace anche come lei abbandona le sue braccia al mattino, con cura e circospezione, sfiorandogli il dorso delle mani con i polpastrelli e intrecciando appena le dita alle sue per guidarle via dal suo corpo, come se stesse attenta a non svegliarlo benché sappia benissimo che lui è sveglio. Ed è, quel muoversi soffice, attento, un inizio dolce e soffuso, senza fretta e senza concitazione, che sua moglie vuole regalargli ogni mattina e Giancarlo lo apprezza moltissimo proprio perché sa che il resto della giornata sarà caratterizzato dalla fretta e dalla tensione. Anche i rumori che provengono dal bagno li conosce bene: il rubinetto, lo scroscio leggero dell'acqua, il piccolo click della caldaia che si mette in funzione - Monica detesta l'acqua fredda e la vuole tiepida anche al mattino, per sciacquarsi il viso - poi il cozzare leggero che la sbarra mobile del portasciugamani fa sbattendo contro l'altra, quando lei estrae la salvietta per asciugarsi. Ora viene il gesto veloce di raccogliere i capelli con la pinza e quello che lui adora, di sporgersi sul lavandino, per avvicinarsi allo specchio e pettinare con cura l'arco volitivo delle sopracciglia. Quando ha tempo gli piace entrare, e sorprenderla a quel punto, scioglierle i capelli, poi farla voltare e baciarla, e godersi le sue allegre proteste e il suo ridere lieve, accogliente e sereno.

Ma stamattina non c'è tempo, è mattinata di lavoro e di scuola e deve decidersi ad alzarsi. Tende bene le braccia oltre la testa, per stirare i muscoli, mentre cerca di interpretare gli ultimi movimenti di Monica oltre la porta del bagno, un aprirsi e richiudersi di uno sportellino, il rumore di cellophane e di una scatola di cartone accartocciata che non sa a cosa ricondurre, ma non si attarda a ragionarci troppo. Ora vuole godersi i passi di lei verso la cucina, i gesti in rapida successione con cui prende la moka, lasciata a sgocciolare nel portapiatti e il tintinnio del cucchiaino che si tuffa nel barattolo di latta colmo di caffè, per poi riempire con gesti precisi il filtro bucherellato, stando attenta a non versarlo oltre il bordo che poi la caffettiera non chiude più bene e l'acqua esce di fuori e fa un casino, creando una minuscola montagna al centro, non troppo e non troppo poco e senza pressare, mi raccomando, altrimenti diventa troppo carico e l'aroma si perde. Il caffè è un arte, amore mio...

Un'arte è la sua voce un po' rauca al mattino, quelle ciocche ribelli che sfuggono alla pinza e si arricciano dietro l'orecchio, quei pigiami improbabili sotto cui nasconde il suo corpo di ragazza che il tempo e la vita hanno reso morbido, quel sorriso appena accennato con cui lo saluta, quando arriva in cucina.

Sorride e mette i piedi giù dal letto, grato al destino per quel microscopico universo quotidiano di gesti diventati i loro gesti, il loro universo, le cose per cui vale la pena ogni mattino alzarsi e respirare e predisporsi a vivere al meglio la giornata.

In bagno la luce della specchiera è rimasta accesa e di nuovo la voce di sua moglie, che di là sta disponendo tazzine e dolcetti, ritorna a invadergli i pensieri così ci vedi, non hai scuse, che tu sei talmente pigro che ti dimentichi di accendere e poi fai un macello. Voglio vedere, così, se non centri il buco...

Ride tra sé e sé: con tre figli maschi è più facile confondere le acque e spacciare per non suoi eventuali errori di tiro, ma ride ogni volta del tentativo caparbio di sua moglie di educarlo, di educarli tutti, di legarli in modo indissolubile attraverso i piccoli gesti che fanno di una consuetudine una vita intera.

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